Il tema. Da fallimento a responsabilità di tutti. Per il Parco Verde è l'ora del "noi"
Il corteo a Caivano dopo lo stupro delle due cuginette, il 29 agosto 2023
Il 19 novembre 2012 ventimila persone attraversarono le vie di Caivano. Cento volte più di quelle che hanno marciato dopo il dramma delle due ragazzine violentate al “Parco verde”. Anche allora si manifestava per un dramma che coinvolgeva tanti bambini. “Terra dei fuochi”, velenosi roghi di rifiuti, tumori, tanti morti, tante piccole vittime. Guidato da un parroco allora sconosciuto, don Maurizio Patriciello, il “popolo inquinato” per la prima volta scendeva in piazza contro gli inquinatori, camorristi e imprenditori collusi, e chiedendo che le istituzioni venissero a vedere come si viveva e moriva in quella terra. E le istituzioni arrivarono.
Al Parco verde, nella parrocchia di San Paolo, arrivarono un quasi premier (Renzi), vari ministri, commissioni del Parlamento e dell’Europarlamento. Quella di Giorgia Meloni non è dunque la prima visita. E non si può neanche dire che dopo la marcia e le visite di 11 anni fa non sia successo nulla. Finalmente è stata approvata la legge sugli ecoreati attesa da più di venti anni, sono arrivati i militari per affiancare le forze dell’ordine, è stato nominato un commissario straordinario antiroghi, molti ecomafiosi sono stati condannati. Risposte di sicurezza. Per i rifiuti. Mentre tra i palazzoni del quartiere crescevano altri drammi. Senza l’attenzione, ma anche senza quel movimento di base che i rifiuti avevano innescato.
Piazze di spaccio sempre più organizzate e pervasive. Drammi familiari sempre più inquietanti, sfociati nel 2016 con la morte dei piccoli Fortuna e Mario, “volati” da quei palazzoni, uccisi. Storie di violenze casalinghe che sembrano anticipare quelle che stanno emergendo oggi. Un quartiere presto dimenticato da istituzioni e informazione dopo il clamore dei drammi, ambientali e sociali. E dove non è giunto a maturazione un cambiamento culturale dal basso nonostante l’impegno delle poche eroiche associazioni e della Chiesa che hanno continuato ad essere presenti, faticando a mettere in campo progetti di crescita.
E via via anche la vicenda della “Terra dei fuochi” è sbiadita, persa in mille rivoli, mille voci diverse, non quell’unica voce che saliva forte dalla marcia dei 20mila. Mentre gli altri drammi sono cresciuti nel silenzio. I roghi sono diminuiti, non gli sversamenti abusivi di rifiuti, favoriti da un sistema di smaltimento che in Campania è ancora insufficiente e inefficiente. Così è nuovamente cresciuta la sfiducia. E il mondo associativo, cattolico e laico, non è riuscito a fare presa, ad entrare nella quotidianità di quei palazzoni per proporre alternative concrete alla non-cultura della droga, della violenza camorrista, del degrado morale.
Ma al Parco verde come in altre periferie degradate d’Italia non basta scendere in piazza per denunciare o provare a sostituirsi alle forze dell’ordine. Non basta scontrarsi col male invece di cercare percorsi di crescita: è necessario costruire alternative. Vere e durature. Certo, lo ripetiamo, a Caivano i ritardi delle istituzioni sono evidenti. E la premier Meloni lo ha ammesso: «Qui lo Stato ha fallito» ha detto, evitando di accusare qualche forza politica, perché le responsabilità sono state e sono di tutti. Ma non può essere un alibi.
Al Parco verde, come in altri paesoni campani, è anche la società civile, bisogna amaramente ammetterlo, che non è stata capace di andare oltre la pur giusta denuncia. Che non ha combattuto efficacemente la dispersione scolastica e le fatiche e il degrado familiare. Così restano sfiducia e chiusura. E allora non ci si stupisca se erano solo in 200 a marciare. Se pochissimi hanno accolto la Meloni. Uno scenario scontato? Una storia immutabile? No, lo dimostra a pochi chilometri di distanza Casal di Principe, un tempo “regno” del potentissimo clan dei “casalesi”, non camorra di spaccio ma di grandi affari e di intrecci con politica e economia. Anche qui una visita importante, il 21 marzo scorso, quella del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
La prima in assoluto di un capo dello Stato in queste terre. Una visita per ricordare don Peppe Diana, e soprattutto per rendere atto del forte cambiamento, della rinascita, iniziata proprio dopo l’uccisione del parroco, e per dire “grazie” all’impegno dal basso di associazioni, Chiesa e anche una buona politica locale. Un “noi” che è riuscito a riempire i vuoti creati dalla brillante azione di magistratura e forze dell’ordine. Un’altra storia su cui riflettere, un modello di lavoro “in rete” che anche al Parco verde, si spera, con l’impegno di tutti potrebbe attecchire.