La storia di Manci Gezim. Prato, da detenuto a imprenditore: «Ora do lavoro a chi esce»
Da detenuto a imprenditore di successo che dà lavoro ai carcerati. È la storia di riscatto di Manci Gezim, cittadino albanese di 33 anni, che ha passato un terzo della propria vita in carcere. «Quali reati? Tanti capi di imputazione, anche gravi, non lo nascondo, ma oggi se sono una persona diversa lo devo all’aiuto della Caritas», dice Manci che adesso ha un lavoro – ha aperto in proprio una impresa edile –, una moglie e una figlia di diciotto mesi. Siamo a Prato, dove da alcuni anni esiste Casa Jacques Fesch, una struttura messa a disposizione da una parrocchia della periferia ovest della città. Qui vengono accolti i detenuti a fine pena che hanno diritto a un periodo di permesso, ma non hanno un luogo dove andare, e le famiglie dei carcerati che hanno bisogno di un punto di appoggio quando vengono in visita ai propri cari reclusi alla Dogaia, il secondo istituto penitenziario della Toscana per dimensioni e capienza.
Jacques Fesch era un criminale francese convertito in carcere, a lui sono dedicati questi ambienti aperti da Caritas e gestiti dall’associazione Don Renato Chiodaroli insieme al cappellano del carcere don Enzo Pacini. Manci Gezim ci arriva nel 2017, quando la casa è in ristrutturazione. Il giovane sta finendo di scontare dieci anni di carcere, una volta fuori deve ricominciare daccapo, non ha documenti, non ha un lavoro, non ha un posto dove andare. Per quelli come lui il rischio di recidiva è altissimo: quasi due detenuti su tre, senza opportunità, quando sono liberi tornano a delinquere. Gezim viene coinvolto dalla ditta di costruzioni Saccenti nei lavori alla Casa Jacques Fesch e impara il lavoro di muratore. Per sei mesi vive nella struttura e qui viene aiutato da Elisabetta Nincheri, una dei volontari della Chiodaroli.
Il giovane capisce che si stanno aprendo possibilità importanti per lui. Ricambia la fiducia data e inizia a costruire la propria vita. Conosce quella che diventerà sua moglie, il lavoro va così bene che decide di mettersi in proprio e aprire una impresa edile dove adesso lavorano nove dipendenti. «Di questi, tre sono ex detenuti – sottolinea Gezim –. Come hanno aiutato me, anche io voglio fare altrettanto. Quando si esce dalla prigione si è vulnerabili e il rischio di tornare a delinquere è altissimo. Per fortuna quando sono tornato libero ho incontrato la Caritas e non le brutte compagnie che mi avrebbero sicuramente riportato sulla cattiva strada». Questo servizio di accoglienza e accompagnamento fa parte di un progetto più ampio promosso dalla Diocesi di Prato attraverso la Caritas, chiamato «Non solo carcere», con l’obiettivo di sostenere i detenuti in un percorso di reinserimento nella società. Tra le varie iniziative c’è l’apertura di un reparto di confezioni all’interno della Dogaia.
«Una vera e propria sfida perché rappresenta una opportunità di lavoro vero, con un regolare contratto per i sei detenuti operai impiegati nella produzione di coprimaterassi» dice il vescovo di Prato, Giovanni Nerbini, che sette mesi fa ha benedetto l’avvio dell’impresa. Non si tratta dunque di «assistenzialismo», ma di una vera e propria attività imprenditoriale realizzata grazie alla collaborazione con il gruppo Pointex, tra le maggiori realtà del distretto tessile di Prato. Dopo un iniziale periodo di rodaggio, negli ultimi tempi questa piccola costola produttiva della grande azienda sta viaggiando ad una media di circa 300 pezzi al giorno, ed è così riuscita a raggiungere l’obiettivo prefissato dai committenti. I sei lavoratori impiegati hanno una giornata lavorativa di otto ore per cinque giorni la settimana e uno stipendio base di 1.200 euro netti al mese. «La loro risposta è buona, stanno lavorando bene » dice il titolare della Pointex, Marco Ranaldo. Si tratta di un altro importante tassello del grande impegno della Caritas al contrasto alla recidiva, calcolata, secondo le ultime stime, intorno al 70%.