Attualità

REAZIONI. Crocifisso, sentenza contro la verità

Salvatore Mazza giovedì 5 novembre 2009
La definisce «una sentenza orientata ideologicamente». Che, di­sconoscendone il valore culturale, nega il fatto evidente che il crocifisso sia un «segno» per credenti e non credenti. E, rimuo­vendo una presenza «che non impone nulla ma si espone soltanto», finisce con «impoverire ulteriormente» un mondo «già così diso­rientato». Ad Avvenire e a Tg2000 il cardinale presidente della Confe­renza episcopale Italiana, Angelo Bagnasco, non nasconde che «la decisione della Corte di Strasburgo ha provocato in me stupore e sconcerto». La sentenza, ha infatti spiegato ieri, «appare come o­rientata ideologicamente», una decisione «che non si cura di rispet­tare la verità delle cose». «Non tiene in alcun conto, ad esempio – ha sottolineato – della verità storica dell’Europa e dell’Italia. Anche a un occhio distratto, l’Europa e l’Italia da un semplice un punto di vista culturale, traggono la loro ispirazione dal Vangelo. Basta guardarsi in­torno per capire che senza il cristianesimo e la Chiesa non si com­prenderebbe la 'Divina Commedia', ma anche la maggior parte del­l’architettura e dell’arte». «Riconoscere il valore culturale del crocifisso, peraltro, non vuol dire – ha aggiunto il porporato – svilirne il significato religioso perché la fede con i suoi segni genera civiltà e cultura che diventano patrimo­nio a disposizione di tutti, come dimostra la ricchezza della nostra storia nazionale e continentale. Il segno del crocifisso poi parla a tut­ti, sia ai credenti per i quali è certamente il segno della propria fede, sia ai non credenti, per i quali la croce rappresenta comunque il se­gno di quella esperienza umana integrale che ha la propria radice nel sacrificio di Gesù Cristo». D’altra parte, ha proseguito il presidente del­la Cei, «non ricordo di aver mai sentito qualcuno sentirsi offeso da questo segno, anzi spesso ho percepito che molti, anche tra i non cre­denti, proprio guardando all’uomo della croce, traggono ispirazione e fiducia per andare avanti. Perché – ha concluso – impoverire ulte­riormente il nostro mondo già così disorientato? Perché privarsi di que­sto segno che non impone nulla ma si espone soltanto?». Di «offesa al simbolo della religione della stragrande maggioranza degli europei: cattolici, ortodossi, luterani, anglicani, calvinisti» ha parlato il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazio­ne per i vescovi, che alla Radio vaticana ha osservato come «i veri di­fensori della laicità dovrebbero difendere il crocifisso». Del resto «il riferimento al crocifisso - ha detto alla stessa emittente monsignor Aldo Giordano, inviato speciale e osservatore permanente della San­ta Sede al Consiglio d’Europa - non è un rischio per i diritti dei sin­goli, ma è un contributo significativo anche nella sfera pubblica per difendere, per promuovere, per fondare i diritti dei singoli, i diritti della persona». Secondo monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, la sentenza è «profondamente sbagliata» perché «l’estromissione dei simboli religiosi dagli ambienti pubblici è esso stesso un atto che e­sprime assolutezza e integralismo». Gli ha fatto eco monsignor Elio Tinti, vescovo di Carpi: «L’Europa c’è perché da duemila anni il Van­gelo si è innestato nella storia dei popoli europei» e «non capisco per­ché ci ostiniamo a indebolire la nostra identità». Non è del resto un caso, per l’arcivescovo di Perugia monsignor Gualtiero Bassetti, se «il crocifisso è un valore per tutti, è un valore della nostra civiltà che ha queste radici». «Il crocefisso è simbolo d’amore per credenti e non, e non chiede rinunce, non impone condanne o pregiudizio verso altre religioni, culture e filosofie», sottolinea monsignor Giuseppe Merisi vescovo di Lodi fino a pochi mesi fa rappresentante dei vescovi ita­liani alla Comece. È un segno, evidenzia il vescovo di Cremona mon­signor Dante Lanfranconi, «che non ha mai fatto danno ad alcuno». Ancor più per questo, secondo monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro, «credo sia giusto dire che si tratti di una volontà eversiva... condotta con ferocia».