Attualità

CORTE EUROPEA. La Cei: il crocifisso, risorsa non imposizione

Gianni Cardinale venerdì 18 giugno 2010
L'esposizione del Crocifisso nelle scuole «non si traduce in un’imposizione e non ha valore di esclusione, ma esprime una tradizione che tutti conoscono e riconoscono nel suo alto valore spirituale, e come segno di un’identità aperta al dialogo con ogni uomo di buona volontà, di sostegno a favore dei bisognosi e dei sofferenti, senza distinzione di fede, etnia o nazionalità». Lo afferma la presidenza della Conferenza episcopale italiana in una dichiarazione diffusa in vista dell’inizio dell’esame, da parte della Grande Chambre di Strasburgo, del ricorso presentato dall’Italia verso l’ormai celebre sentenza contro il crocifisso nelle scuole emanata lo scorso novembre della Corte europea dei diritti umani. La Grande Chambre si riunirà il prossimo 30 giugno e proprio in vista di quella data la Cei ha inteso «richiamare l’attenzione sull’importanza che la questione dell’esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche assume in relazione ai sentimenti religiosi delle popolazioni e alle tradizioni delle Nazioni d’Europa». «Auspichiamo – aggiunge la nota – che nell’esame di una questione così delicata si tenga conto dei sentimenti religiosi della popolazione e di questi valori, come pure del fatto che in tutti i Paesi europei si è affermato e si va sviluppando sempre più positivamente il diritto di libertà religiosa, di cui l’esposizione dei simboli religiosi rappresenta un’importante espressione». «Le Chiese cristiane – sottolinea infine la presidenza Cei – favoriscono ovunque il dialogo con altre Chiese e religioni e agiscono come parte integrante delle rispettive realtà nazionali, che in materia di simboli religiosi conoscono normative diverse e un’autonoma evoluzione sociale e giuridica». Per questo, «una scelta non penalizzante per la simbologia religiosa risulterebbe in linea con il principio di sussidiarietà che presiede al rapporto tra Stati e istituzioni europee, nel rispetto delle tradizioni millenarie di ciascun popolo e di ciascuna Nazione».La presidenza è il più alto organo collegiale dell’episcopato italiano ed è composta da cinque membri: il cardinale arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, presidente; i tre vice-presidenti (Agostino Superbo, arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo; Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve: Cesare Nosiglia, arcivescovo-vescovo di Vicenza); il segretario generale (monsignor Mariano Crociata, vescovo emerito di Noto).Della sentenza dalla Corte di Strasburgo il cardinale Bagnasco aveva già parlato nella prolusione pronunciata per l’Assemblea generale della Cei il 24 maggio, osservando che essa «non poteva essere accolta che con lo stupore dell’incredibilità». «Confidiamo – aveva aggiunto il presidente della Cei – in una lungimirante rettifica in sede di ricorso nel prossimo mese di giugno, in forza anche delle ragioni che in modo autorevole e competente sono state espresse in diverse sedi, essendosi trattato di un pronunciamento che non solo contraddice la giurisprudenza consolidata della stessa Corte, ma trascura del tutto, fino a negarle, le radici iscritte nelle costituzioni, nelle leggi fondamentali sulla libertà religiosa e nei concordati della stragrande maggioranza dei Paesi membri».La decisione della Grande Chambre sul crocifisso è molto attesa dalla Chiesa in Italia e anche dalla Santa Sede. Lo testimonia l’editoriale dedicato alla questione dall’ultimo fascicolo della Civiltà Cattolica, anticipato ieri, e anche un riferimento ai simboli religiosi fatto, non casualmente, da Benedetto XVI nel corso dell’udienza riservata sabato ai partecipanti all’annuale riunione comune della Banca di sviluppo de Consiglio d’Europa. «Emarginare – aveva detto il Papa – il Cristianesimo - anche attraverso l’esclusione dei simboli che lo manifestano - contribuirebbe a privare il nostro continente della sorgente fondamentale che lo alimenta instancabilmente e che contribuisce alla sua vera identità».