Il campanile è crollato sulla chiesa, e la chiesa si è abbattuta sulla cripta. Dell’antico crocefisso non si è saputo più niente fino a metà luglio, quando i vigili del fuoco lo hanno estratto dalle macerie. Solo il legno, e il braccio sinistro della statua di Gesù, penzolante. C’erano – ci sono – guai maggiori di un’opera d’arte andata distrutta: le case crollate, gli stabilimenti in ginocchio, il lavoro perso per chissà quanto tempo. Ma i giorni passavano, e la comunità di San Possidonio (piccola lingua di terra tra Mirandola e Concordia, nel modenese) sentiva l’avvicinarsi della quarta domenica di agosto. Il giorno della storica processione. La prima volta fu nel 1806: il marchese Pietro Tacoli riuscì ad ottenere il crocifisso strappato ai frati cappuccini dalle truppe napoleoniche, e lo ripose in un altare barocco in legno intagliato realizzato per l’occasione. Da allora, una volta all’anno – nei giorni della sagra del paese – ci si ricordava di quell’avvenimento: un gruppo degli uomini si prendeva il Cristo sulle spalle, portandolo tra la gente. Negli ultimi dieci anni, il tutto veniva arricchito con figuranti in abiti d’epoca, a rappresentare chi la famiglia Tacoli, chi i nobili e il popolo. Una storia lunga due secoli, che neppure il terremoto è riuscita a fermare. Anche se nulla sarà mai come prima. «Ho pensato di lasciare perdere quest’anno – spiega don Aleardo Mantovani, 77 anni e gli ultimi tre mesi che ne valgono, per intensità e fatica, altri 77 –. Ci siamo chiesti: vale la pena fare una processione in questo modo, con solo un braccio della statua?». Qualcuno ha risposto di sì. E il parroco si è convinto: «Passeremo accanto alle case più colpite – spiega –. Spiace però non poter entrare in chiesa. Quando verrà recuperata? Chi può dirlo. Servirà moltissimo tempo». Non è pessimismo: è realismo, non è rimasto nulla di stabile. Don Aleardo quel giorno – martedì 29 maggio – stava per celebrare la messa in canonica. La chiesa era già malandata, il campanile aveva perso la punta. Quel secondo violento terremoto è stato il colpo di grazia, per tutto. Come in altri paesi dell’Emilia, la nuova chiesa non ha pareti: solo un prato, sperando che non piova. Per la piccola (3.700 abitanti) San Possidonio, quello della villa di fronte alla parrocchia. Quando verrà l’inverno, il gazebo non sarà un gran riparo. Ma ci si arrangerà lo stesso in qualche modo, perché è così che vanno le cose, da maggio a questa parte. Domani però sarà, dovrà essere, solo un giorno di festa e di speranza. Con quel crocifisso che, spiega don Aleardo, «avevo fatto restaurare due-tre anni fa». Dire che si è salvato è troppo: l’antica opera d’arte è stata colpita dalle macerie della chiesa, e della statua del Cristo è rimasto meno di un brandello. Eppure, quando i vigili del fuoco l’hanna tirato fuori dalla chiesa diventata rudere, c’è chi ha applaudito. Forse mai come questa volta, seguendo quel legno, gli abitanti di San Possidonio si porteranno in spalla le loro pesanti croci. E quella voglia di ricominciare, più forte di ogni scossa.