Migranti. Crescono i morti in mare. E la Libia chiude all’Ue
Lo sbarco nel porto di Lampedusa dei 70 migranti, di origine eritrea, siriana e ghanese, avvistati lo scorso 13 ottobre dalla nave Mare Jonio del progetto Mediterranea (Ansa)
«Il nostro governo si oppone a qualsiasi piano per l’istituzione di centri per la valutazione delle richieste d’asilo dei migranti fuori dall’Unione Europea». La dichiarazione del ministro degli Esteri di Tripoli rischia d’essere una pietra tombale sulle velleità di Italia e Ue, che da tempo pressavano sulle capitali del Maghreb affinché accettassero la realizzazione di campi di raccolta dei migranti nei quali esaminare le domande d’asilo. Un rifiuto che arriva a poche ore dall’incontro di oggi a Roma tra il presidente al-Serraj e il premier Conte, mentre a Palermo le autorità stanno ultimando i preparativi per la conferenza sulla Libia di metà novembre. Nel porto del capoluogo isolano, intanto, decine di volontari si apprestano a far salpare nuovamente Mediterranea, l’operazione umanitaria di osservazione e testimonianza nel Canale di Sicilia, che con le iniziative di terra in tutta Italia ha già raccolto oltre 220mila euro da 2mila donatori.
Il rimorchiatore Mare Jonio è diventato meta di incontri e visite con le scuole della città. A decine anche ieri mattina hanno raggiunto il 'Molo Trapezoidale' per salire a bordo e ascoltare dalla voce dell’equipaggio e dai volontari in che modo si è svolta la prima operazione e come è stata attrezzata la nave.
L’unica, nelle ultime settimane, a “fotografare” quello che veramente succede in mare. La radicale riduzione degli arrivi è stata ottenuta a prezzo di un vertiginoso aumento dei naufragi. Molti dei quali rimasti per lo più sconosciuti. Secondo l’Oim, tra gennaio e settembre 2018 ben 1.728 sono le persone morte in tutto il Mediterraneo, di cui 3 su 4 (1.260) nella sola rotta tra Libia e Italia, anche a causa della diminuita capacità di ricerca e soccorso in mare provocata dalla delegittimazione ed esclusione delle navi di Ong impegnate in tali operazioni (ad esse era dovuto circa il 35% dei salvataggi).
Nel Mediterraneo settembre è stato il mese con il tasso di mortalità più alto che sia mai stato registrato: un morto o un disperso ogni cinque migranti. Il report aggiornato dell'Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) dice che, in termini assoluti, almeno 867 migranti sono risultati morti o dispersi negli ultimi 4 mesi sulla rotta della Libia. "Una percentuale - precisa Ispi - mai registrata lungo la rotta del Mediterraneo centrale da quando si dispone di statistiche sufficientemente accurate".
Dalla Libia, però, non arrivano le notizie che l’Ue e l’Italia si aspettavano. Per quanto fragile, il governo riconosciuto dalla comunità internazionale si è fatto portavoce di un fronte che al momento appare compatto. «Tutti i Paesi del Nord Africa – inclusa Tunisia, Algeria, Marocco e Libia – respingono la proposta di costituzione di campi per migranti», ha ribadito nelle scorse ore il ministro Mohamed Taha Siala, già funzionario statale all’epoca di Gheddafi e ripescato da al-Serraj per guidare la diplomazia tripolina. «La Libia sta lavorando per facilitare i rimpatri nei Paesi d’origine, ma sfortunatamente, alcuni di questi si rifiutano di riprenderli», ha insistito Siala. I migranti, in realtà, non sono il primo pensiero di governanti e milizie.
Negli ultimi giorni le faide interne hanno fatto registrare una raffica di omicidi eccellenti, in concomitanza con l’approvazione del nuovo piano per la sicurezza varato dal governo di al-Serraj che ha proceduto a un rimpasto tra i ministri e ad alcuni avvicendamenti nelle forze armate. Il clima è dei peggiori.
E peserà sulla conferenza di Palermo, dove le parti cercheranno di sedere ciascuna da una posizione di forza. «La Libia sta cercando di migliorare la sicurezza lungo il suo confine meridionale – ha aggiunto il ministro degli esteri, secondo quanto riportato dalla stampa locale –, stringendo accordi con il Ciad, il Niger e il Sudan». Poi una richiesta sibillina: «L’Ue potrebbe aiutare a proteggere i confini meridionali libici fornendo supporto tecnico come veicoli, droni, elicotteri e anche armi leggere».