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Recupero. Creatori di abiti dietro le sbarre: il progetto dell'Accademia dei Sartori

Redazione romana sabato 29 giugno 2024

Sono circa trenta, tra giacche, gilet, pantaloni e cappotti, i capi realizzati dagli 8 detenuti aspiranti sarti, per una sera anche indossatori dei loro vestiti, che hanno sfilato nel mezzo dell'Area verde dell'istituto penitenziario di Rebibbia Nuovo Complesso (1.560 detenuti), per il progetto "Made in Rebibbia", portato avanti dal 2017 dall'Accademia Nazionale dei Sartori. La sfilata, presentata da Myriam Fecchi, si è svolta davanti a un pubblico composto dai direttori degli istituti penitenziari, da alcune autorità giudiziarie, dai giornalisti e dalle famiglie dei reclusi. È il risultato di un anno di corso di alta sartoria maschile durato otto mesi, 650 ore, sotto la guida del maestro Sebastiano Di Rienzo, ex presidente dell'Accademia dei Sartori, che porta avanti il progetto sociale cominciato dall'ex presidente scomparso, Ilario Piscioneri. In prima fila ad applaudire gli aspiranti sarti c'è Alessia Rampazzi, direttrice «reggente» del carcere, come lei stessa si definisce, perché in attesa di un nuovo direttore, funzionaria che ha reso possibile la realizzazione della sfilata. Nel parterre ci sono anche Massimiliano Di Silvestre, presidente e ad di Bmw Italia (sponsor del progetto) e l'ad di Bmw Roma, Salvatore Nicola Nanni, e l'assessore del Comune di Roma a Moda, Grandi eventi, Sport e Turismo, Alessandro Onorato.

«La finalità del percorso educativo è quella di contribuire al reinserimento sociale attraverso la formazione di figure professionali in grado di rispondere alle richieste del mercato che sono tante - spiega l'attuale presidente dei Sartori Gaetano Aloisio e presidente della World Federation of Master Tailors -. Segno tangibile di questo percorso è stata la possibilità per uno dei detenuti di uscire dal penitenziario per un completo reinserimento, lavorando a tempo pieno in una delle nostre sartorie». «Ho scontato nove anni di reclusione. Sono entrato in carcere a 27 anni e sono uscito a 36. Grazie al corso di taglio e cucito fatto in carcere sono riuscito a diventare un sarto e a lavorare nell'atelier Piscioneri», ricorda Manuel Zumpano, 37 anni. «La maggior parte delle persone qui non ha una prospettiva - continua l'ex detenuto -, non sanno da dove ripartire. Ma il carcere è molto triste, per cui è importante fare cose, studiare, come ho fatto io che mi sono preso il diploma di ragioneria facendo tre anni in uno e poi la laurea in scienze motorie, prima ancora di seguire il corso di sartoria. È fondamentale fare corsi di formazione e imparare un mestiere perché la maggior parte delle persone uscite dal carcere riprendono la vita che avevano prima». «Il pregiudizio lo vivo sulla mia pelle - prosegue Manuel -: la gente pensa che noi detenuti siamo mostri. Io sono pentito di aver commesso errori gravi, che ho pagato, ma sono orgoglioso del mio percorso, con la forza di volontà si può cambiare. Il messaggio per gli altri che restano è che dobbiamo cogliere la possibilità di farlo che ci viene offerta». L'idea del corso è di «dare ai detenuti un'opportunità di riscatto dopo aver scontato la pena», ricorda il presidente Aloisio. Ma dopo anni di detenzione, forse quel sogno è solo voglia di ritorno alla normalità, di affrontare la società con un lavoro cucito addosso. Un sogno che forse si avvererà per altri otto detenuti del carcere. Uno dei più giovani aspiranti sarti, Gianni, finirà di scontare la pena tra sei mesi e, viste le doti mostrate con i capi perfetti che hanno sfilato, potrebbe seguire le orme di Manuel. A chiudere il defilé, un colpo di scena: uno degli aspiranti sarti ha chiamato sul palco la sua compagna con il loro bambino piccolo, per consegnarle un cuore realizzato da lui tra le sbarre con il riso colorato e gettandosi ai suoi piedi le ha chiesto di sposarlo, come succede talvolta nei film a lieto fine.