Attualità

Migranti. Rimpatri fermi al 10%: i Cpr (che ci costano tanto) sono inefficaci

Ilaria Sesana sabato 26 ottobre 2024

I Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) italiani nel biennio 2022-2023 sono costati 39 milioni di euro. Con un costo medio che sfiora i 29mila euro per posto letto, che registra picchi di 40mila euro a Torino, 71mila a Brindisi, 36mila a Milano. Queste cifre sono state elaborate da ActionAid e dal dipartimento di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Bari in base ai dati ufficiali ottenuti (non senza fatica) da ministero dell’Interno, questure e prefetture all’interno del report “Trattenuti 2024. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri”, pubblicato ieri.

Tra il 2014 e il 2023 sono state 50mila le persone straniere trattenute «in centri che violano i diritti umani e sono un disastro per le finanze pubbliche – denuncia ActionAid –. I Cpr in Italia appaiono come modello di disumanità, gestione incontrollata e fallimentare da cui prendono forma i nuovi centri di trattenimento in Albania».

Uno dei primi dati che balza all’occhio è il loro bassissimo “tasso di efficacia”: nel 2023 su oltre 28mila persone straniere colpite da provvedimento di espulsione quelle effettivamente rimpatriate dai Cpr sono state 2.987. «Una politica che ottiene il 10% dei risultati attesi è inammissibile, a meno che non si riconosca che l’obiettivo non è quello esplicito del rimpatrio, ma di assimilare le persone migranti ai criminali, erodendo le basi del diritto d’asilo e del sistema di accoglienza», commenta Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid.

Oggi i Cpr attivi e funzionanti in Italia sono dieci sui 12 previsti. Tra quelli chiusi c’è Torino (da marzo 2023) che però ha continuato a produrre costi per circa 3,4 milioni di euro nel corso dell’anno per l’affitto della struttura versato a Ferrovie dello Stato e per appianamenti di debiti con l’ente gestore.

Sono luoghi in cui si verificano regolarmente proteste anche violente, atti di autolesionismo, suicidi come quello del giovane Ousmane Sylla avvenuto a febbraio 2024 nel Cpr di Ponte Galeria a Roma. Le persone trattenute trascorrono le proprie giornate in spazi spogli che ricordano molto quelli delle carceri, spesso sedati da un uso massiccio di psicofarmaci e tranquillanti, come ha documentato un’inchiesta della rivista Altreconomia di aprile 2023.

Il costo di questa “macchina” inefficiente è salato. Quasi 93 milioni di euro nel periodo 2018-2023; di questi oltre 33 milioni sono stati spesi per la manutenzione dei centri di cui oltre il 76% è stato utilizzato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Questa voce di spesa ha registrato un aumento significativo a partire dal 2020 e per tutti gli anni successivi. «Tempi più lunghi di detenzione aumentano la tensione e la conflittualità nei centri, portando ad un immediato incremento dei costi di manutenzione straordinaria», sottolinea Fabrizio Coresi.

Ma le spese non sono finite. A questi costi, infatti, bisogna aggiungere le spese “accessorie”, come vitto e alloggio per le forze dell’ordine a presidio delle strutture: 5,8 milioni di euro tra il 2020 e il 2023 a Macomer (Nuoro) e circa 680mila euro all’anno a Palazzo San Gervasio (Potenza).

«L’investimento nei Cpr ha prodotto una crescita dei costi umani ed economici delle politiche di rimpatrio. Dal 2017 si rimpatria di meno, a costi più alti e in maniera sempre più coercitiva – commenta Giuseppe Campesi, dell’Università di Bari, tra i massimi esperti in Italia di detenzione amministrativa e rimpatri –. Il ricorso a queste strutture ha già dimostrato di essere fallimentare, tuttavia, si continuano a presentare i centri di detenzione come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri. I dati raccolti, invece, dicono l’esatto contrario».