Covid-19. Il virologo Clementi: ora un medico per ogni scuola
L'ospedale San Raffaele di Milano
«La scuola va riaperta, senza se e senza ma. Così come non si poteva non chiudere nell’ultimo semestre dello scorso anno scolastico, ora non possiamo non riaprirla perché il danno culturale ed economico sarebbe incalcolabile. Se si sono già persi 100 miliardi nell’industria e nel commercio, quanto perderemmo ancora se provocassimo un ritardo di due anni al percorso degli studenti?». In questo momento non è solo il rischio sanitario a preoccupare Massimo Clementi, direttore del laboratorio di Virologia e microbiologia dell’ospedale San Raffaele di Milano e ordinario della stessa cattedra all’Università Vita-Salute. «Intendiamoci – spiega –, la ripartenza scolastica presuppone ogni precauzione sanitaria utile ad arginare nuovi focolai».
Ma in che modo si conciliano la ripresa delle lezioni dal vivo e il rischio contagio?
Nello stesso modo in cui stiamo facendo convivere la ripresa della vita sociale e il controllo della diffusione del virus. Immagino i titoli dei media quando ci sarà il primo docente positivo, e ci sarà, ma dobbiamo farlo. La scuola va mantenuta aperta e gestita come gestiamo gli altri ambiti della sanità.
Sembra più facile dirlo...
Niente affatto. Le faccio un esempio. Molti ricorderanno la diffusione del virus nell’azienda di logistica Bertolini di Bologna a giugno. È stato il primo grosso focolaio dopo la quarantena. Ebbene, ho fatto i complimenti alla Regione Emilia Romagna per come ha saputo gestire la vicenda: tracciamento di tutti i casi, isolamento, vigilanza continua. Nelle scuole dobbiamo fare un ulteriore sforzo, e cioè distinguere i casi di Sars-Cov-2 da quelli di influenza stagionale. Sembrerà paradossale ma anni fa la salute degli alunni era più monitorata.
Ma anni fa non c’erano le possibilità diagnostiche attuali.
Ma c’era una medicina sociale che è stata demolita.
Cioè?
Il Covid-19 ci sta anche insegnando molto. Perché, per esempio, non ripristinare la medicina scolastica? Una volta c’era il medico scolastico, era un medico di base che svolgeva un compito aggiuntivo: aggiornava le cartelle vaccinali degli alunni, ordinava schermografie ad anni alterni per prevenire la tubercolosi o altre malattie polmonari, garantiva un controllo nel tempo. Pensi quanto importante potrebbe essere oggi, non solo in ottica Covid-19.
I contagi stanno risalendo. Quanto dobbiamo preoccuparci?
Si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di contagi da rientro.
Spesso dovuti all’irresponsabilità di giovani che non hanno rinunciato a visitare Paesi più esposti al virus.
Guardi, detto che potevano anche risparmiarselo perché se non si va per un anno a Ibiza si sopravvive lo stesso, io non ce l’ho con loro.
Ah no?
Le risulta che qualche autorità abbia detto ai nostri ragazzi di non andare in vacanza in Spagna o in Croazia? Forse l’"imprudenza" non sta solo da una parte. Quando l’Aids si diffondeva con rapidità e faceva paura, dicemmo ai nostri giovani di stare attenti, li abbiamo informati. Più che imporre chiusure di bar o discoteche, occorre informarli, dar loro chiavi di lettura in modo positivo. Finché si può, io sono per l’informazione e non per l’imposizione.
Professore torniamo ai contagi che aumentano. È un andamento che allarma anche se un contagiato non può essere considerato un malato, non è così?
Il contagiato non è un malato. La diversità tra infezione-contagio e malattia non è data solo dall’agente infettante - in questo caso il virus - ma dalla risposta immune all’agente infettante. Mi spiego: l’epatite b è una malattia in cui c’è un virus che infetta il fegato ma c’è un sistema immunitario che reagisce. Ed è questa reazione che determina la malattia, non tanto il virus. Nel caso del Sars-Cov-2 abbiamo notato che, nel tempo, sono aumentati i contagiati asintomatici. Questi, infettandosi con una carica di virus minore, hanno una malattia diversa da quella che, pur con lo stesso virus, si diagnosticava da febbraio ad aprile, quando i positivi avevano una carica virale alta e venivano intubati già in pronto soccorso. Anche per questo i dispositivi di protezione vanno mantenuti.
Aspettando il vaccino, possiamo sperare solo in una carica virale limitata o anche, per esempio, in mutazioni e adattamenti del virus?
Al momento non è stata riscontrata con certezza assoluta nessuna mutazione genetica, anche se ci sono studi che hanno messo in evidenza cambiamenti repentini nel genoma del virus, poi rientrati. Nel passato ci sono stati coronavirus o altri tipi di virus che si sono adattati all’uomo. La pandemia del 2009, determinata da un virus detto "suino", che in Messico causò dei morti, alla fine non richiese vaccini perché il virus si adattò a noi rapidamente.
Dobbiamo temere la cosiddetta "seconda ondata"?
Dobbiamo continuare a essere bravi a contenere i focolai. La Lombardia è stata sfortunata nei primi casi: si pensava ad influenze stagionali e questo impedì di intervenire subito. Non dobbiamo sottovalutare.
Gli ospedali italiani sono più pronti?
Sì. Ma mi chiedo: avremo una sufficiente disponibilità di test diagnostici vista l’attuale richiesta mondiale? Perché è anche sulla diagnostica che si potrebbe giocare la partita di una futura, eventuale, ondata. I laboratori dovranno affrontare una doppia sfida: individuare l’infezione da coronavirus, stabilendone anche la misura della carica virale; e distinguere le altre malattie respiratorie. I laboratori più piccoli devono attrezzarsi per tempo creando reti con i più grandi.
Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato un vaccino «efficace». La convince?
Solo una dozzina di vaccini è in fase 3, quello di cui sappiamo meno è il russo. Dovrebbe trattarsi di un vaccino convenzionale, cioè prodotto con il virus ucciso. Se le cose stanno così, può andar bene in questa fase ma se il virus cambia diventa meno efficace.
Anche la Cina ne ha annunciato uno.
Ne ha annunciato uno ma ne ha in preparazione altri. Tutti questi annunci rivelano una competizione sfrenata che addirittura coinvolge capi di Stato. Temo che dietro il clamore di queste dichiarazioni ci siano riscontri parziali, e questo è pericoloso. Anni fa fu messo in commercio un vaccino per il "virus respiratorio sinciziale" che colpisce i bambini; fu subito ritirato perché provocò due decessi. Il vaccino aiutava il virus invece di ostacolarlo. Facciamo lavorare i ricercatori senza pressioni e senza fretta perché il vaccino è una cosa troppo seria.