Coronavirus. Dall’infettività ai danni polmonari: ecco cosa sappiamo del Sars-CoV-2
È una specie di 'bibbia' dei medici. Non c’è camice bianco che non studi sull’Harrison, che presenta i 'Principi di Medicina Interna' ed è giunto alla sua ventesima edizione. Un’enciclopedia firmata dai massimi esperti mondiali della materia, tra cui l’immunologo statunitense Anthony Fauci, la voce italiana sulla pandemia è stata affidata a Giampiero Carosi, Guido Antonelli, Roberto Cauda e Andrea Pession. In questa pagina sintetizziamo le verità a oggi ufficialmente riconosciute dalla medicina internazionale, contenute nella pubblicazione che in Italia è stata messa a disposizione di Avvenire da Cea edizioni. La pandemia di Covid 19 è stata dichiarata l’11 marzo 2020 dall’Oms. Nel mondo ci sono stati finora 180 milioni di casi (40% in America, 31% in Europa), 3,4 milioni di morti (48% in America e 30% in Europa). L’Italia è la settima nazione per casi e la terza per letalità: per quanto la maggioranza dei decessi sia avvenuta in presenza di comorbilità, si calcola che il 95% dei morti italiani, in assenza di Covid 19, avrebbe avuto solo una probabilità del 5% di morire entro l’anno. Insomma, il virus è stato fatale. La curva epidemica italiana (4 milioni di contagi accertati) ha disegnato tre ondate da febbraio 2020 a giugno 2021. I dati risentono, ovviamente, dell’incremento avvenuto nelle diagnosi, tramite tampone. Prima ondata (marzo- aprile 2020): picco di 5000 casi giornalieri. Seconda ondata (settembre 2020-febbraio 2021): picco di oltre 30.000 casi giorna-È lieri, con un incremento di 6 volte dei contagi e di 1,5 dei decessi rispetto alla prima. Terza ondata (marzo-giugno 2021): fino a 30.000 casi giornalieri, con un declino fino a 500 casi a fine giugno. La curva dei morti è scesa tra maggio e giugno di dieci volte. Il 5% delle infezioni evolve in forma grave. Il massimo rischio di letalità è oltre i 70 anni, aggravato dalla presenza di altre malattie. I maschi sono due volte più a rischio delle femmine. Il virus penetra nell’organismo attraverso l’aggancio tra la proteina virale Spike e il recettore umano Ace2. Il sistema immunitario reagisce all’infezione producendo degli anticorpi contro la Spike e le altre glicoproteine di superficie del virus. Nelle persone guarite si trovano anticorpi specifici contro Sars Cov 2 di classe IgM, IgG e IgA, ma non se ne conosce la durata nel tempo. La prevenzione è stata lungamente esercitata attraverso il distanziamento sociale e mascherine che impediscono la diffusione delle droplets, le goccioline di saliva infetta. Partita nella primavera del 2021, la campagna vaccinale italiana prevede la somministrazione di vaccini a m-Rna (Pfizer e Moderna che devono essere somministrati in due dosi) e due a vettore adenovirale (AstraZeneca a due dosi e Johnson & Johnson a una dose). Le varianti note (da alfa a delta) non compromettono la loro efficacia. Si stima che la percentuale di protezione necessaria per realizzare un’immunità di gregge sia oltre l’80%.
DA DOVE VIENE IL VIRUS
Sì al salto di specie a Wuhan. No all’ipotesi di laboratorio
Il responsabile della pandemia Covid-19 è un coronavirus che causa una sindrome respiratoria acuta grave di tipo 2: per questo si chiama Sars-Cov2. Nasce in Cina alla fine del 2019, forse in un mercato di Wuhan. Si discute sul fatto che il virus circolasse prima di tale data, ma non sull’origine naturale della pandemia. Nonostante alcuni articoli apparsi sulla stampa internazionale sulla possibilità che Sars-Cov2 sia stato intenzionalmente prodotto in laboratorio, al momento la maggior parte degli scienziati ritiene che la comparsa del virus sia da attribuire a un salto di specie da un animale selvatico – probabilmente il pipistrello – all’uomo. Il virus entra nelle nostre cellule attraverso la proteina Spike che si lega all’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (Ace2) dell’uomo in modo più forte di altri coronavirus: da ciò dipende la maggiore contagiosità.
L’ingresso avviene grazie a due diversi meccanismi, uno dei quali è resistente all’azione di alcune proteine antivirali indotte dal nostro sistema immunitario: ciò influisce sulla patogenicità, cioè la capacità di diffondersi nei tessuti – in tal caso – polmonari, compromettendone la funzionalità. Il Sars-Cov2 ha anche una maggiore affinità per il tratto respiratorio superiore e la congiuntiva.
DOVE VA IL VIRUS
Il massimo dell’infettività? Due giorni prima dei sintomi
La principale via di trasmissione di Sars Cov 2 è aerea, tramite le 'droplets', goccioline di muco e saliva più piccole di 510 micromillimetri emesse con il respiro; hanno un raggio di caduta di 100-150 centimetri. Per questo usiamo la mascherina, che le trattiene. Può esservi trasmissione via aerosol (con goccioline inferiori a 5 micromillimetri) in ambienti poco aerati o serviti da aria condizionata.
È possibile la trasmissione per contatto: per questo laviamo le mani. La carica virale è un fattore importante di trasmissione: nel periodo di incubazione, che intercorre tra esposizione al virus e inizio dei sintomi (4-5 giorni) la massima infettività è nei 2-3 giorni precedenti i sintomi. Il declino inizia intorno a 7 giorni ma in casi più gravi si protrae oltre 2 settimane. Sono contagiosi anche gli asintomatici, che sarebbero il 40% dei casi. Il tampone biomolecolare evidenzia la positività dopo 3-5 giorni dal contagio e in casi rari l’incubazione dura due settimane. La contagiosità è misurata dall’indice di riproduzione R0 che definisce il numero medio di nuovi casi generati da un infetto in assenza di misure di contenimento. Se esistono tali misure si parla di Rt. Un’epidemia si può ritenere controllata quando l’indice R0 (o Rt) è ridotto e mantenuto inferiore a 1.
COME ATTACCA L’UOMO
I polmoni nel mirino e la risposta immunitaria
Una volta infettato l’organismo, il virus si lega ai pneumociti degli alveoli polmonari, provocandone il collasso. Il polmone è il principale bersaglio del Sars-Cov2 ma non è tanto la produzione di nuovi virioni, che distrugge le cellule infettate, a danneggiare l’organo, quanto la risposta immunitaria. Infatti il corpo, avvertito l’attacco virale, rilascia anticorpi che producono citochine, le quali a loro volta stimolano la produzione di globuli bianchi e altri macrofagi: si innesca cioè un forte processo infiammatorio – infatti, si parla di tempesta citochinica e di cascata immune... – che può portare all’insufficienza respiratoria grave. La stessa risposta infiammatoria provoca processi di coagulazione che portano a coaguli e trombosi. Contro questi effetti si utilizzano steroidi, anticitochine e farmaci ad azione antitromboembolica, con eparina a basso peso molecolare. In parallelo, si può registrare un danno cardiaco: l’infiammazione può provocare miocarditi e infarti. Le alterazioni emodinamiche si ripercuotono sui reni ed esiste anche un’interazione con il fegato, segnalata dal rialzo delle transaminasi. Il decorso è influenzato da comorbilità (malattie cardiovascolari, diabete, pneumopatie e patologie oncoematologiche) e probabilmente da fattori genetici.
I TEMPI
Le tre fasi della malattia e le possibili complicazioni
La malattia Covid-19 si divide in tre fasi: infezione virale precoce, fase polmonare, fase iperinfiammatoria. Secondo l’Oms, le forme lievi guariscono in due settimane, quelle gravi ne richiedono da 3 a 6. La febbre associata a tosse e dispnea suggerisce l’esistenza di polmonite, la cui presenza è confermata dall’imaging del torace. A questi sintomi respiratori si possono associare mialgie, diarrea, perdita del gusto e dell’olfatto, oltre a congiuntivite e sintomi dermatologici, più rari. La dispnea non appare subito ma in genere dopo 7 giorni dall’insorgere dei primi sintomi. La febbre è presente dal 31 al 44% dei casi, quindi non sempre. Nella seconda fase le difficoltà respiratorie possono evolvere in polmonite interstiziale, sovente bilaterale, che può portare ad insufficienza respiratoria acuta.
Le complicanze a carico del cuore e del sistema circolatorio sono aritmie, danno cardiaco acuto, shock, trombosi venosa profonda, embolia polmonare e, più raramente, ictus e ischemia limbica. Possono esserci complicanze neurologiche, anche gravi, e muscolari. Le sequele (long Covid) più comuni sono astenia, dispnea, tosse, dolore toracico, deficit cognitivi, perdita di gusto e olfatto. Possono esserci sequele a livello cardiaco, come miocardite con aritmie e pericardite, e polmonare. La lunga durata della positività del tampone nei guariti e negli asintomatici non indica che il soggetto sia contagioso o abbia una recidiva.
COME SI CURA
Non c’è un farmaco specifico. L’eparina si usa per evitare i trombi
Non esiste un farmaco specifico per questa malattia, anche se si stanno sperimentando dei farmaci che inibiscono la maturazione delle proteine del virus e quindi ne ostacolano la diffusione nell’organismo. Attualmente, non si utilizzano – per mancanza di un reale riscontro scientifico – plasma iperimmune, idrossiclorochina, Favipiravir, interferoni, lopinavirritonavir, azitromicina, ivermectina, vitamina D. Nel trattamento dei pazienti gravi che ricevono ossigeno o supporto ventilatorio si usano corticosteroidi (hanno un effetto antinfiammatorio) e baricitinib. Possono essere utilizzati anche Tocilizumab e altri inibitori della interleuchina 6.
Si può somministrare anche l’antivirale Remdesivir, i cui effetti sono ancora oggetto di studio. Le terapie più moderne si indirizzano all’impiego di anticorpi monoclonali, dei quali si consiglia la somministrazione precoce. Per evitare i trombi, si usa eparina a basso peso molecolare nei pazienti con infezione respiratoria acuta ed allettati. Le persone con grave insufficienza respiratoria sono sottoposte a terapia ventilatoria assistita (in posizione supina) sia di tipo non invasivo che invasivo o Ecmo.
L’IMPATTO SULLE FASCE D’ETÀ
Una risposta diversa nei bambini rispetto al mondo adulto
I primi casi di Covid-19 pediatrico (0-19 anni) sono apparsi nel gennaio 2020 a Wuhan e in Italia rappresentano il 14,9% di tutti i casi confermati (8% media mondiale). Tassi di ospedalizzazione più bassi, periodo di incubazione più lungo, malattia grave solo nel 1,5% dei casi, letalità vicina allo zero: il minore presenta una risposta immunologica qualitativamente diversa dagli adulti, con una più spiccata capacità di rispondere al 'nuovo'.
Inoltre, si riconosce un valore protettivo dei vaccini contro difterite, tetano e pertosse. I sintomi più frequenti sono anche in questo caso quelli respiratori e la febbre, ma sono in crescita quelli gastrointestinali: infatti, la complicanza più importante è la sindrome infiammatoria multi sistemica nei bambini, simile alla malattia di Kawasaki e alla sindrome dello schock settico, che interessa l’addome, oltre a presentare febbre e lesioni mucoutanee. Questa sindrome viene trattata con immunoglobuline IV, glucocorticoidi e farmaci biologici.