Covid. Bollettino quotidiano o settimanale? Il dibattito che divide
Bollettino sì o bollettino no? L'appuntamento del tardo pomeriggio con i dati Covid - nuovi positivi, decessi, tamponi, ricoverati - ci accompagna da quasi due anni. Già in passato si erano levate voci critiche sull'utilità di divulgare quei numeri ogni giorno: ansiogeni, si è detto, o falsamente rassicuranti a seconda dei periodi. D'altra parte c'è chi obietta che silenziarli, riservandoli alla cerchia degli addetti ai lavori, potrebbe essere interpretato come una censura alimentando fantasie di complotti. Va chiarito che nessuno ha mai proposto, né oggi né in passato, di oscurare quei dati: l'alternativa è tra divulgarli ogni giorno o settimanalmente.
A riaprire il dibattito, con i nuovi casi schizzati attorno ai 200mila e oltre 2 milioni di italiani positivi, è stato ieri il virologo Matteo Bassetti: il report quotidiano, sostiene, "non dice nulla e non serve se non a mettere l'ansia alle persone".
Vediamo quali sono i pro e i contro, e le posizioni in campo.
Chi (e perché) chiede lo stop del bollettino quotidiano
Altri Paesi hanno rinunciato al report quotidiano Covid. Tante persone sono positive ma, di fatto, non sono ammalate o sono poco sintomatiche. Avrebbe senso un censimento dei raffreddati in Italia? Il bollettino non dice nulla (o poco) sull'effettivo stato di salute dei positivi. Mette ansia e descrive una situazione peggiore della realtà. Sono queste, in sintesi, le argomentazioni di chi vorrebbe abolirlo in favore di un report settimanale. A partire dal virologo Matteo Bassetti.
"Siamo rimasti gli unici a farlo. Che senso ha - chiede Bassetti - dire che un giorno abbiamo 250mila persone con un tampone positivo? Bisogna specificare se sono sintomatici, asintomatici, sono ricoverati, stanno a casa. Sono numeri che ci fanno fare brutta figura col resto del mondo, perché sembra che vada tutto male e invece non è così. Nella realtà altri Paesi che hanno molti più contagi di noi cercano di gestirli in maniera diversa. Se continuiamo così finiremo con l'andare in lockdown di tipo psicologico e sociale".
Raccoglie l'appello il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, che fa sapere di aver proposto al ministro Roberto Speranza "una riflessione". "Il numero dei contagi - sostiene Costa - di per sé non dice nulla, è necessario soffermarsi essenzialmente sui dati delle ospedalizzazioni e occupazione delle terapie intensive".
Anche secondo l'infettivologo e membro del Cts Donato Greco "sarebbe un'ottima idea far diventare settimanale il bollettino dei contagi, mi sembrerebbe naturale farlo. Noi del Cts stiamo discutendo del parlarne col Governo".
Ma non tutti la pensano così, neanche al ministero.
Chi (e perché) vuol mantenere il report quotidiano
Per trasparenza, per non alimentare dietrologie e speculazioni fantasiose, perché dà una misura puntuale dell'evolversi della pandemia. Sono queste le argomentazioni a favore del mantenimento del bollettino Covid com'è oggi, quotidiano.
A pensarla così, e dunque diversamente da Costa, è l'altro sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri. "Nell'immediato - osserva - ritengo utile una comunicazione puntuale e trasparente di tutti i dati disponibili, accompagnata da un'adeguata interpretazione che aiuti i cittadini a orientarsi meglio in questa nuova fase della pandemia".
E se c'è diversità di vedute al ministero, figurarsi tra gli esperti. "Comunicare giornalmente il dato relativo ai contagi - osserva il virologo Fabrizio Pregliasco - rappresenta una posizione di trasparenza e la raccolta del dato in se è fondamentale per la ricerca e la sanità pubblica. Siamo ancora in una fase di transizione, e non fornire oggi tale dato potrebbe facilitare un 'liberi tutti' a cui non siamo ancora pronti".
"È come rompere il termometro quando abbiamo la febbre. Il monitoraggio dei contagi giornaliero è una guida" è la posizione di Lucia Bisceglia, presidente dell'Associazione italiana di epidemiologia (Aie). Intervistata dal Corriere della sera, spiega che il bollettino quotidiano è "il termometro della situazione, perché i ricoverati e i decessi sono proporzionati ai positivi. Quindi possedere informazioni costanti e tempestive ogni giorno ci mette nella condizione di intercettare sul nascere i segnali di allerta. Sono informazioni in base alle quali disegnare previsioni e costruire orizzonti". "Si può discutere sulle modalità di comunicazione che però vengono adottate in modo simile da molti Paesi - riflette -. Far conoscere tutti i dati trasmette all'opinione pubblica la sensazione che nulla venga nascosto". "Qualunque decisione venga presa - aggiunge - è importante che si continui a rendere disponibili i dati giornalieri, indipendentemente dalla pubblicazione del bollettino per il pubblico".
Per il biostatistico Markus Falk, dell'Eurac di Bolzano, "i dati vanno pubblicati, finché possiamo garantire la loro correttezza". "Ovviamente - dice all'Ansa - i dati vanno anche spiegati. Tremila casi al giorno,come avvenuto ieri in Alto Adige, con Omicron hanno un altro significato rispetto allo stesso numero di contagi con Delta, ma comunque non vanno sottovalutati".