Famiglia. Un figlio costa 700 euro al mese: ma sull'assegno unico i conti non tornano
Mantenere un figlio costa in media 645 euro al mese in Italia. Al Nord la spesa è di 714 euro, mentre al Sud, dove il costo della vita è inferiore, si scende a 512 euro. Utilizzando un altro criterio di calcolo, che guarda a quanto dovrebbe spendere ogni mese una famiglia per mantenere inalterato il proprio livello di "benessere", si scopre che ciascun minorenne richiede in media 720 euro al mese, o che alle famiglie non povere servirebbero 763 euro a figlio, e 510 a quelle in povertà assoluta.
Queste cifre – frutto di un’elaborazione dei dati dell’Indagine Istat sulle spese delle famiglie 2019 – emergono da una ricerca condotta da Giulia Bovini e Fabrizio Colonna, della Banca d’Italia, contenuta nell’e-book "L’assegno unico e universale per i figli: una novità italiana e il contesto europeo" curato da Alessandro Rosina per Neodemos, il think tank dei demografi italiani. È di fatto la prima raccolta di articoli accademici che permette di confrontare i sostegni alle famiglie previsti in diversi Paesi, e far capire dove si collocherebbe il nuovo assegno italiano. Il paragone internazionale lascia intuire che se l’assegno unico, il cui debutto a pieno regime è previsto da gennaio 2022, dovesse replicare la formula della misura-ponte in vigore da luglio, avrà un effetto nel contrastare la povertà, ma difficilmente riuscirà a sostenere le nascite e rispondere alla grave crisi demografica che interessa il nostro Paese.
L’assegno temporaneo prevede 167,5 euro al mese a figlio per i nuclei con Isee sotto i 7mila euro, 84 euro se l’Isee è tra i 7 e i 15mila euro, 30 euro per gli Isee da 40.000 euro e niente oltre i 50.000. Una progressività molto accentuata, che ricalca quella del "vecchio" assegno per il nucleo familiare dei lavoratori dipendenti, e che rischia di essere riproposta come formula anche per il futuro assegno unico.
Le simulazioni al quale lavorano i tecnici del Ministero dell’Economia stanno infatti rivelando che le risorse disponibili non sono sufficienti al varo di uno strumento adeguato agli obiettivi della delega, cioè «favorire la natalità, sostenere la genitorialità e promuovere l’occupazione, in particolare femminile». Calcoli più precisi sulle risorse realmente disponibili potrebbero mostrare che servirebbero altri 2 miliardi per arrivare all’obiettivo dei 21 miliardi ipotizzati finora (15 miliardi delle misure già in vigore e 6 stanziati in aggiunta).
«Per essere considerato uno strumento di politica familiare l’assegno deve rispondere ad alcune caratteristiche di base – spiega Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica –. Deve essere strutturale e continuo nel tempo, universale, percepito come un aiuto non simbolico anche dal ceto medio, chiaro e semplice da ottenere, inserito in modo integrato e coerente in un sistema più ampio di politiche familiari e a favore delle nuove generazioni».
Il confronto con le esperienze internazionali dice che l’Italia è solo all’inizio del cammino. Se il modello francese venisse importato nel nostro Paese, ad esempio, vi sarebbero vantaggi per le famiglie meno abbienti, ma anche sconti cospicui per le famiglie con 3 figli e redditi medio alti. La generosità del sistema tedesco, che offre un minimo di 2.600 euro annui per figlio a tutte le famiglie, dimostra invece quanto sia importante adattarsi alle nuove sfide e aggiungere nuovi strumenti se necessario, come ha fatto la Germania introducendo l’assegno parentale per i genitori che non lavorano o smettono di lavorare. La formula svedese, d’altro canto, è uno spot formidabile a favore di sostegni totalmente universali, cioè uguali per tutti. Il Regno Unito testimonia che tagliare assegni e crediti di imposta lasciandoli alle sole fasce più povere per ragioni di bilancio, come avvenuto, può portare a una riduzione della natalità negli anni successivi. Dal caso russo, analizzato dal demografo Massimo Livi Bacci, ecco invece la lezione che risorse consistenti possono far risalire i tassi di fecondità nel breve periodo, ma se l’attenzione alla famiglia non è integrata in un sistema più ampio di servizi, la natalità può tornare a scendere nel medio periodo.
Formule "magiche" per sostenere i desideri di genitorialità, insomma, non esistono. Determinante è invece la chiarezza degli obiettivi. Nel saggio di Neodemos la sociologa Chiara Saraceno dice chiaramente che una misura di politica familiare può avere tre obiettivi diversi: il contrasto alla povertà, il sostegno alla natalità, la riduzione delle disuguaglianze tra famiglie con e senza figli. E la ricetta dello strumento deve variare in base a cosa si vuole ottenere.
Se l’intenzione è aiutare i poveri, allora l’assegno deve essere sottoposto alla prova dei mezzi, come in Spagna e Portogallo o nelle Americhe, sapendo che questo può rappresentare un disincentivo all’aumento del reddito o alla ricerca di lavoro. Se l’obiettivo è affrontare l’emergenza demografica e sostenere le nascite, come in Francia o in Germania, gli aiuti devono essere generosi e universali e possono anche partire dal secondo figlio. Se l’obiettivo infine è ridurre le disuguaglianze tra chi ha figli e chi no (l’equità orizzontale richiesta dalla nostra Costituzione), la misura deve essere universale sia per quanto riguarda l’importo che i destinatari. «I sistemi più universalistici danno migliori risultati sia in termini di contrasto alla povertà sia di sostegno alla fecondità», spiega Saraceno, ma se sono anche inseriti in «un pacchetto in cui è sostenuta l’occupazione delle madri, e i servizi per la prima infanzia sono accessibili».
Il nuovo assegno unico italiano, in virtù delle poche risorse disponibili frutto anche di scelte di campo, si avvia dunque ad essere più uno strumento di contrasto alla povertà che di sostegno alle nascite. «In un momento caratterizzato dalla pandemia questo obiettivo può essere comprensibile – sostiene Rosina –, un assegno con queste caratteristiche non sosterrà le nascite, ma ha valore se rappresenta l’avvio di un processo di cambiamento del modo di intendere le politiche familiari. Per questo è decisivo stabilire subito che le risorse andranno aumentate e che dovrà essere prevista una valutazione dell’impatto della misura introdotta. L’Italia ha bisogno di invertire il declino demografico risollevando i tassi di fecondità. Il rischio invece è che nei prossimi mesi, di fronte a un naturale rimbalzo delle nascite dopo la frenata dovuta alla pandemia, ci si illuda che questo sia l’effetto del nuovo assegno unico, fermando così il processo di riforma».