Migranti. Costa d'Avorio, il “Paese sicuro” da cui si continua a partire
Don Ciotti con la moglie di Daouda
Quest’anno la prima nazionalità di immigrati giunti sulle nostre coste è della Costa d’Avorio, quasi 8mila persone. Erano mille nello stesso periodo del 2022. Arrivano soprattutto dalla Tunisia, su barchette di ferro battezzate “bare” per le decine di naufragi. Muoiono gli ivoriani, sopravvissuti al deserto e alle violenze dei trafficanti. Ma continuano a partire. E il governo cosa fa? Decide di respingerli, di rimpatriarli.
Ci stanno lavorando i ministri dell’Interno, Piantedosi e della Giustizia, Nordio. Perché gli ivoriani non hanno diritto alla protezione internazionale, perché il loro è «un Paese sicuro», assicura il Governo. Lo scorso 21 marzo Piantedosi è volato nella capitale Abidjan. Per il lancio del progetto Civit-Oim, finanziato dall’Italia e che prevede la creazione di quattro avamposti di frontiera e percorsi di formazione per il controllo dei confini, la lotta al traffico di migranti e alla tratta di esseri umani. Il titolare del Viminale richiama «l’impegno dell’Italia a sviluppare, sia in sede bilaterale che europea, politiche di sostegno nei riguardi dei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, valorizzando i canali di ingresso regolare ed i processi di formazione/lavoro per i giovani».
Ma poi nel tweet del ministero che annuncia i risultati del vertice si vedono solo militari africani in mimetica mentre predispongono delle strisce di plastica bianche e rosse. Ancora muri. Da allora il flusso migratorio non è calato. Tante persone continuano a partire dal “Paese sicuro”. Perché? Piantedosi potrebbe chiederlo a Daouda Diane, 37 anni, ivoriano, arrivato anni fa su un barcone, lasciando a casa moglie e figli. Ad Acate nel Ragusano si era ben integrato, lavorando come mediatore culturale (sa molte lingue) per una cooperativa che si occupa di immigrati. Faceva anche qualche altro lavoretto, in nero. Tema che dovrebbe preoccupare il ministro più dell’”invasione” degli ivoriani. Daouda lo aveva denunciato, stava aiutando altri sfruttati. Un anno fa è scomparso, lasciando documenti e permesso di soggiorno. E un biglietto aereo per la Costa d’Avorio per il 22 luglio. Per rincontrare la famiglia, per programmare il loro arrivo in Italia, perché nel nostro Paese stava bene, qui voleva costruire il suo futuro e quello dei suoi cari. Non un respingimento, non un rimpatrio. Come tanti suoi connazionali che si imbarcano sulle “bare” della speranza. Perché nel loro “Paese sicuro”, speranza non riescono ad avere. Daouda lo avrebbe spiegato bene al ministro Piantedosi, col suo ottimo italiano. Ma il 2 luglio 2022 è scomparso. E malgrado l’impegno della magistratura, delle forze dell’ordine, delle associazioni, non si è trovata traccia. «C’è un clima omertoso» ha denunciato il procuratore di Ragusa, Fabio D’Anna, in occasione dell’anniversario della scomparsa. Ecco qualcosa di cui dovrebbe occuparsi il ministro dell’Interno, più che i “non tutelabili” 8mila ivoriani sopravvissuti ai viaggi in mare. O la sua vita tanto difficile ma ricostruita nel nostro Paese non è degna di tutela? Il Primo Maggio, Festa dei lavoratori, don Luigi Ciotti era stato ad Acate per gridare che chi sa parli. Erano stati raccolti anche dei fondi per la famiglia di Daouda. Pochi giorni fa il presidente di Libera si è recato in Africa e li ha consegnati alla moglie Awa. «Ho fiducia e conto sulla giustizia» ha detto la giovane donna. «Abbiamo il dovere di continuare a cercare la verità - ha commentato don Luigi - perché solo così si può costruire un percorso di giustizia. Non la lasceremo sola perché Daouda è nostro fratello». Un fratello, non uno scomodo invasore da rimpatriare. E poi dove? Davvero la Costa d’Avorio è un Paese sicuro? Molte inchieste delle procure italiane e i rapporti della Dia hanno accertato la presenza della ‘ndrangheta. Snodo dei traffici di cocaina sulla rotta dal Sudamerica all’Italia. Ma anche dove investire, soprattutto nelle miniere d’oro e in altre importanti materie prime. Grazie alla corruzione di funzionari pubblici. Il ministro Piantedosi sicuramente è bene informato. L’italianissima ‘ndrangheta sfrutta, gli ivoriani fuggono ma l’italianissimo governo li vuole rimandare indietro. Il ministro, il governo, pensi a questo, pensi al giovane Daouda Diane che sperava nell’Italia e che l’Italia ha fatto sparire. Respingere non è la risposta.