Intervista. Il questore del blitz: «Così ho catturato Bernardo Provenzano»
Già. E ci ha colpito l'accoglienza riservata dalla folla a Provenzano: fischi e epiteti che mostrano che il sentimento della gente comune sta cambiando, che la mafia è vista come il Male e non come un potere a cui appoggiarsi.La rinascita dovrà fare i conti con l'altra Sicilia, quella dell'omertà: Provenzano lo avete trovato a Corleone, a pochi chilometri da casa. Dov'era stato in questi 43 anni?A parte il viaggio per le cure a Marsiglia, quasi sempre in Sicilia. Per i boss, è regola fondamentale mantenere il contatto col territorio. Spostarsi dalla propria terra è un segno di debolezza che un capo come Provenzano non poteva mostrare. Per il procuratore Piero Grasso, le indagini hanno rivelato una vasta rete di coperture, a livello mafioso, imprenditoriale, politico... È stata una lunga investigazione, con molti filoni, che speriamo conducano presto ad altri risultati. Quando siete stati certi che in quel casolare c'era lui?Da mercoledì 5 aprile avevamo messo gli occhi su quella masseria. La catena di "postini" sorvegliati ci aveva portato lì. Ma poteva anche essere disabitata: nessuno usciva fuori. Abbiamo sorvegliato a distanza con microtelecamere, aspettando gli eventi. Una settimana dopo, il blitz. Perché solo allora?Perché martedì 11, prima delle 9, qualcuno ha messo fuori un sacchetto bianco: una conferma che il casale era abitato. E alle 10 è arrivato un uomo a noi noto, con un pacco per l'inquilino misterioso. Allora ho fatto scendere un furgone con 20 uomini. E siamo entrati dentro.
Dopo, qual è stato il suo primo pensiero?Ho pensato che era andata bene, che potevamo mandare in archivio 8 anni di lavoro duro, notte e giorno, senza riposi né ferie. Ho pensato ai miei uomini, ai sacrifici imposti a noi stessi e alle famiglie per arrivare al risultato. E poi ho pensato anche ad altri: a poliziotti di altissimo valore che lavorarono alla Mobile di Palermo: uomini come Boris Giuliano, Beppe Montana, Ninni Cassarà e altri ancora. La mafia li ha uccisi, è vero, ma ignora che la loro eredità si respira ogni giorno nei nostri uffici. Ecco, questa vittoria dello Stato non è solo nostra. Appartiene anche a loro.