Attualità

La scheda. Che cosa è il concorso esterno in associazione mafiosa e perché fa discutere

Danilo Paolini venerdì 14 luglio 2023

Il concorso esterno in associazione mafiosa , di cui si è tornati a discutere in questi giorni dopo che il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha espresso l'intenzione di «rimodularlo» per renderne più riconoscibili i confini, non è un reato presente nel Codice penale, bensì il combinato disposto di due articoli dello stesso Codice: il 110 (concorso nella commissione di un reato) e il 416-bis (associazione di tipo mafioso). Proprio l'assenza di codificazione rende questo istituto, agli occhi di molti giuristi, bisognoso di una maggiore tipizzazione tramite l'introduzione nell'ordinamento di una norma ad hoc. Insomma, il concorso esterno viene considerato dai critici una sorta di ossimoro giuridico: se si concorre non si è esterni, se si è esterni non si concorre. Ed è proprio questa l'osservazione che il Guardasigilli Nordio ha ribadito nelle ultime ore, malgrado il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano (anch'egli ex magistrato come Nordio) abbia cercato di fugare le preoccupazioni dei familiari delle vittime di mafia e delle associazioni attive in questo ambito, come Libera di don Luigi Ciotti, escludendo un intervento in tal senso: «Non è un tema in discussione», ha detto Mantovano.

Negli anni, il concorso esterno è stato uno strumento utile ai magistrati antimafia per colpire la cosiddetta "zona grigia", ovvero quei pezzi di potere politico o economico che, pur non essendo direttamente affiliati a cosa nostra, alla 'ndrangheta, alla camorra o alle altre associazioni di tipo mafioso, forniscono consapevolmente e volontariamente il loro contributo concreto e specifico al sodalizio criminale. Il concorso esterno è quindi una fattispecie differente dal favoreggiamento personale in una o più circostanze: si tratta di una condizione di contiguità rispetto all'organizzazione mafiosa. La configurabilità di un concorso esterno alla mafia emerse a metà degli anni 80 nella monumentale (40 volumi) ordinanza-sentenza dei giudici GIovanni Falcone e Paolo Borsellino per il maxi-processo a cosa nostra. Con la sentenza "Demitry" del 1994, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno accolto il principio, cercando di indicare criteri ben precisi per la sua individuazione.

Negli ultimi anni diversi esponenti politici sono stati processati per concorso esterno in associazione mafiosa, ne sono seguite assoluzioni (come quella dell'ex ministro Dc Calogero Mannino nel 2010) e condanne in via definitiva, come quelle di tre ex parlamentari di Forza Italia: Marcello Dell'Utri, Antonio D'Alì e Nicola Cosentino. Gli ultimi due hanno avuto anche ruoli di governo, come sottosegretari (D'Alì all'interno e Cosentino all'Economia), negli esecutivi guidati da Silvio Berlusconi.