Libia. «Così favoriti i trafficanti». Petrolio e migranti, ecco le accuse dell’Onu
Il centro petrolifero di Zawyah, controllato dalle milizie a cui appartiene «Bija», è considerato lo snodo del contrabbando di petrolio
C’è un documento riservato di Bruxelles che per la prima volta ammette come il ritiro delle missioni navali abbia fatto il gioco delle mafie che trafficano uomini, armi e petrolio. E c’è l’inviato Onu a Tripoli che è tornato ad accusare le autorità libiche, compresa la cosiddetta Guardia costiera di Zawyah, quella comandata da Bija. Ghassam Salamé, rappresentante del segretario generale delle Nazioni Unite in Libia, ha lasciato da parte i ghirigori della diplomazia: «Migranti e rifugiati continuano a rischiare uccisioni illegali, torture, maltrattamenti e abusi, detenzione arbitraria e illegale privazione della libertà», ha detto rivolgendosi al Consiglio di sicurezza.
Uno per uno il diplomatico libanese ha elencato le più gravi violazioni dei diritti umani perpetrate nei campi di prigionia ufficiali e in quelli clandestini: «Stupro e altre forme di violenza sessuale e di genere, schiavitù e lavoro forzato, estorsione e sfruttamento». Poi la conferma di quanto rivelato dalle inchieste giornalistiche e ribadito dalla Procura presso la Corte penale internazionale del-l’Aja: «Persistono preoccupazioni gravi anche in relazione al trasferimento di migranti intercettati in mare dalla Guardia costiera libica verso centri di detenzione ufficiali e non ufficiali », in particolare «il centro di detenzione di Zawiyah e il centro di detenzione di Tajoura, che l’1 agosto le autorità assicurarono di voler chiudere».
Quello di Tajoura fu bombardato a inizio luglio facendo oltre 50 morti e 130 feriti tra i migranti imprigionati. Il campo di Zawyah è invece sotto il diretto controllo della milizia al-Nasr, guidata dai potenti fratelli Koshlaf, a cui risponde al-Milad, il famigerato Bija, accolto in Italia nel 2017 per una serie di incontri ufficiali, e ora tornato a capo della guardia costiera. Proprio a Zawyah conducono le tracce delle inchieste sul contrabbando di idrocarburi. Secondo la Noc, la compagnia petrolifera statale libica, ogni anno viene rubato ed esportato illegalmente gasolio per un valore di almeno 750 milioni di euro. Tonnellate di barili che lasciano i poli estrattivi e finiscono nei serbatoi delle auto di mezza Europa e raggiungono anche altri Paesi africani e del Medio Oriente.
Un report riservato, classificato come «restricted», depositato a luglio presso il Consiglio Ue e firmato dai vertici militari della missione Sophia, indica tutti i principali errori commessi da chi ha deciso di desertificare il Mediterraneo cancellando la presenza di una missione navale di controllo solo perché le Marine militari erano coinvolte anche nei salvataggi dei migranti. «Era chiaro - si legge a pagina 3 - che per avere un impatto strutturale sul modello commerciale dei contrabbandieri sarebbe stato necessario operare all’interno delle acque territoriali libiche e a terra». Tuttavia, «è stato impossibile».
Colpa di chi ha preferito battere in ritirata, facendo registrare un «impatto negativo derivante dalla mancanza di risorse navali disponibili». Un vero disastro sul piano politico-militare, con ricadute gravissime anche a livello umanitario ed economico. Uno dei compiti della missione Ue, infatti, avrebbe dovuto essere il contrasto al contrabbando di petrolio e l’applicazione dell’embargo sulle armi da guerra. Ma con nessuno a vigilare, accade quello che ha denunciato proprio Salamé: «Ripetute spedizioni di materiale bellico importato in violazione dell’embargo», tra cui si contano «pezzi di ricambio per i caccia e i carri armati, proiettili e missili».
Le forze navali europee dell’operazione Eunavformed «hanno sviluppato un elenco di 236 navi di interesse», ma in particolare «circa 60 – si legge ancora nella nota del Military Staff dell’Unione – sono sospettate di essere coinvolte nel traffico di petrolio».
Le informazioni prodotte su queste attività illecite «vengono raccolte e condivise con le autorità di contrasto competenti». Ma si tratta di un’arma spuntata perché «allo scopo di raccogliere informazioni sul contrabbando di petrolio e comprendere meglio i modelli operativi dei trafficanti, è essenziale la cooperazione», anche con l’uso di sommergibili. Le operazioni di controllo nel Mediterraneo non dovrebbero compiersi «solo al largo delle coste della Libia, ma anche in aree specifiche», come la 'Hurd Bunk', un tratto di mare «vicino alle acque di Malta» lungo la rotta per la Sicilia.
Una indicazione, questa, che allude ai sospetti che vedono proprio in alcuni scali marittimi maltesi il quartier generale del contrabbando, come ha dimostrato l’inchiesta catanese “Dirty Oil”, che ha permesso di ricostruire le strategie dei trafficanti di gasolio che partiva dalla Libia senza documenti chiari e dopo essere passato da Malta diventava 'regolarmente' esportabile. «È evidente che per essere più efficaci - suggeriscono gli autori della lettera riservata - sarà necessario un cambiamento del mandato, che consenta la possibilità di effettuare ispezioni a bordo di navi sospette». Anche per scoprire le connessioni tra milizie libiche e mafie europee grazie al lavoro dei 'colletti bianchi' a disposizione del crimine transnazionale.