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L'inchiesta. Così l'Italia rifornisce di armi i regimi

DIEGO MOTTA mercoledì 6 aprile 2016
Il mercato delle armi made in Italy non si ferma più e viaggia di corsa verso le zone di guerra.  Il 2015 ha confermato la leadership europea del nostro Paese nell’export di pistole, fucili e munizioni, di tipo militare e comune, ma ciò che sorprende è soprattutto la destinazione di questi prodotti: Egitto, Arabia Saudita, Turkmenistan, Emirati Arabi Uniti, Algeria. Circa un terzo del materiale bellico è stato venduto «in zone in cui erano in corso conflitti armati o che sono caratterizzate da forti tensioni interne o regionali» sottolinea il rapporto presentato ieri a Brescia dall’Opal, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e di difesa, promosso da diverse realtà, cattoliche e non, e membro della Rete italiana per il Disarmo. Tornano alla mente le parole pronunciate dal Papa l’11 giugno 2014 sui «mercanti di morte », tanto più forti se ai numeri ufficiali si aggiungono le difficoltà a misurare il mercato nero in grande espansione, anche a causa della minaccia del terrorismo. I dati dicono, innanzitutto, che il nostro Paese si conferma come il principale esportatore di armi comuni (di tipo non militare) tra i Paesi dell’Unione europea: il giro d’affari è di 307 milioni di euro, contro i 151 della Germania e i 63 della Croazia. Se si fa la somma tra armi e munizioni, il settore si attesta nel 2015 a quota 1,25 mi-liardi, in calo del 3,6% rispetto al 2014, in assoluto il terzo valore assoluto (dopo il picco del 2012) degli ultimi vent’anni. Da quattro anni è in corso, e il rapporto lo conferma, un cambiamento geopolitico importante: il Medioriente è sempre più centrale per gli interessi delle nostre aziende di settore, con un export trainato soprattutto dalle province di Brescia (un quarto delle vendite nazionali) Pesaro Urbino e Lecco. Due sono gli aspetti che meritano maggiore approfondimento, per quanto riguarda gli ultimi dodici mesi: l’export record verso i Paesi dell’Africa settentrionale, con la cifra mai raggiunta prima d’ora dei 52 milioni di esportazioni, in particolar modo destinate all’Algeria; i casi Egitto e Arabia Saudita. «L’Italia è l’unico Paese dell’Unione europea ad aver fornito nel biennio 2014-2015 sia pistole e revolver, che fucili e carabine alle forze di polizia e di sicurezza del regime di al-Sisi – spiega Piergiulio Biatta, presidente di Opal –. Dopo la spedizione di più di 30mila pistole nel 2014, il governo Renzi ha autorizzato anche l’invio di 3.661 fucili». Il punto è che le autorizzazioni sarebbero state rilasciate nonostante sia tuttora in vigore la decisione del Consiglio Ue di sospendere le licenze di esportazione al Cairo «di ogni tipo di materiale che possa essere utilizzato per la repressione interna». Gli interrogativi sulla vicenda restano dunque aperti, tanto più in una fase come questa caratterizzata dallo scontro diplomatico a distanza in corso sul caso Regeni. Nel frattempo, si aspetta ancora la presentazione in Parlamento della relazione sull’export di tutti i sistemi militari, espressamente prevista nella legge 185, che di fatto rischia di rimanere lettera morta. Senonché le operazioni di vendita alla luce del sole di materiale bellico proseguono indisturbate: nel 2015 è partito da Cagliari un carico di bombe per 19,5 milioni di euro indirizzato alle forze armate dell’Arabia Saudita. «È stato utilizzato dai sauditi per la guerra in Yemen, in un conflitto che ha causato quasi 7mila morti » è la denuncia dell’Osservatorio. L’altro mistero è la Russia: l’embargo proclamato a seguito della crisi ucraina avrebbe dovuto azzerare il business con Mosca, eppure risultano incassi da export per oltre 8,8 milioni nel 2015, sia pur a fronte dei 22 milioni del 2014. Sempre più florido è il commercio bellico col Turkmenistan, tra i regimi più autoritari al mondo: sono 87 milioni le vendite realizzate grazie ad armi e munizioni. E l’elenco potrebbe continuare, partendo dai tradizionali partner ancora in testa alla classifica dei nostri clienti: Stati Uniti (298 milioni di euro, la metà per armi comuni) Francia( oltre 177 milioni, la quasi totalità per armi e munizioni di tipo militare) e Regno Unito( 82 milioni). In coda alla top 20 si trovano invece Norvegia e Bahrein (25 milioni a testa).