Attualità

IL CASO ILVA. In corteo sfila la città abituata alle «botte di puzza»

Giovanni Ruggiero sabato 18 agosto 2012
​Andava fatto, sia pure simbolicamente. E così è stato. Il corteo che il questore non aveva autorizzato si è mosso lo stesso: ha percorso appena 200 metri lungo via D’Aquino e si è fermato al limitare della zona rossa, sotto il naso dei carabinieri, a difesa del quadrilatero che circonda la prefettura dove i ministri Clini e Profumo dettavano la ricetta per l’Ilva.Un cordone stretto che nessuno ha mai pensato di forzare: non le mamme venute con i figli, non quel padre che mostrava la foto del suo bambino malato, non quegli studenti che hanno spostato la rabbia e la protesta sul web e nemmeno gli ambientalisti, come quelli di Legambiente, o la tifoseria tarantina che applaude la squadra e fischia l’Ilva, o ancora il gruppo spontaneo "Liberi e pensati", i cui leader per tutta la mattinata hanno arringato la gente che si era data appuntamento in piazza dell’Immacolata. C’era un po’ di tutto, soprattutto c’era tanta rabbia, figlia di una lunga rassegnazione. La sola che poteva spiegare una cattiveria così: «Clini, un cancro ti chiarirebbe le idee», come diceva uno striscione a caratteri cubitali. Ieri, concentrata in piazza dell’Immacolata, c’era la Taranto sfiduciata, quella che respira da anni le "botte di puzza" che vengono dalle ciminiere dell’Ilva e fanno vomitare, quella che ha scelto di schierarsi con la magistratura, che scandisce il nome del gip "Todisco Todisco" e teme i ministri anche quando, come ieri, pare siano venuti a portare doni. A loro il circolo cittadino di Legambiente ha indirizzato una lettera in cui si chiede che il governo dedichi tutte le sue energie per imporre all’Ilva, nel più breve tempo possibile, gli interventi necessari per ridurre drasticamente il carico inquinante.Tanti cittadini non mostravano nessuna appartenenza, non sfoggiavano la maglietta con la scritta "Respiri Amo Taranto" dei tifosi del Taranto né la casacca verde dei "Liberi e Pensanti". C’era un gruppo nutrito di pediatri. Loro sanno dire dell’asma, delle bronchiti, delle allergie dei bambini. Grazia Parisi diceva: «Sono qui come mamma, come pediatra di base e come tarantina». Citava il caso limite del dodicenne affetto da tumore del rinofaringe, una neoplasia che colpisce gli anziani ultrasettantenni fumatori. Dal suo osservatorio professionale può dire che qui i bambini si ammalano più che altrove. C’era in piazza, in una protesta muta e toccante, un giovane papà, Mauro Zaratta, che mostrava la foto spietata del piccolo Lorenzo legato ai tubicini di un letto di terapia intensiva. Lorenzo è nato con un tumore oculare. Non vede più. C’entra l’Ilva? «Di sicuro – ci diceva il padre con gli occhi che si inumidivano di pena – non l’associo al fatto che Lorenzo è vissuto in un prato verde con i fiori». Sua moglie, Roberta, non c’era: ha dovuto portare Lorenzo in ospedale. Ieri era il giorno della chemio. Più di mille persone seguono invece il gruppo di Facebook ideato da Valerio Lo Prete e Giulio Chimienti, ieri in piazza: entrambi giovani, entrambi universitari, entrambi rassegnati. «Non è possibile – diceva uno – che un tubo d’acciaio possa valere più di una vita umana», mentre l’altro rincarava: «Per me l’Ilva è un campo di sterminio legalizzato».