Corte Ue. Permesso di soggiorno anche al coniuge extracomunitario dello stesso sesso
La Corte di giustizia dell'Unione Europea è intervenuta su un caso di matrimonio tra un cittadino della Romania e uno degli Stati Uniti. Rifacendosi alle norme sulla libera circolazione delle persone, il tribunale è intervenuto dopo il ricorso presentato dal romeno che non era riuscito a far ottenere al proprio compagno, sposato all'estero, il titolo di soggiorno in quanto "coniuge". I giudici del Lussemburgo hanno stabilito che la nozione di "coniuge", ai sensi delle disposizioni del diritto dell'Unione sulla libertà di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari, comprende anche i coniugi dello stesso sesso. Secondo la Corte Ue, anche se gli Stati membri sono liberi di autorizzare o meno il matrimonio omosessuale, essi non possono ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell'Unione rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino di un paese non Ue, un diritto di soggiorno derivato sul loro territorio.
La Corte constata che, nell’ambito della direttiva relativa all’esercizio della libertà di circolazione, la nozione di «coniuge», che designa una persona unita ad un’altra da vincolo matrimoniale, è neutra dal punto di vista del genere e può comprendere quindi il coniuge dello stesso sesso di un cittadino dell’Unione. La Corte precisa, peraltro, che lo stato civile delle persone, a cui sono riconducibili le norme relative al matrimonio, è una materia che rientra nella competenza degli Stati membri e che il diritto dell’Unione non pregiudica tale competenza. Questi ultimi restano quindi liberi di prevedere o meno il matrimonio omosessuale. Essa rileva altresì che l’Unione rispetta l’identità nazionale dei suoi Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale,
politica e costituzionale.
La Corte considera, tuttavia, che il rifiuto da parte di uno Stato membro di riconoscere ai soli fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato non-UE, il matrimonio di quest’ultimo con un cittadino dell’Unione dello stesso sesso, legalmente contratto in un altro Stato membro, "è atto ad ostacolare l’esercizio del diritto di detto cittadino di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Ciò comporterebbe che la libertà di circolazione varierebbe da uno Stato membro all’altro in funzione delle disposizioni di diritto nazionale che disciplinano il matrimonio tra persone dello stesso sesso".
La Corte, si legge in una nota del Tribunale, ricorda infine che una misura nazionale idonea ad ostacolare l’esercizio della libera circolazione delle persone può essere giustificata solo se è conforme ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Dal momento che il diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare è garantito all’articolo 7 della Carta, la Corte rileva che anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta che la relazione che lega una coppia omosessuale può rientrare nella nozione di «vita privata», nonché in quella di «vita familiare», al pari della relazione che lega una coppia di sesso opposto che si trovi nella stessa situazione.