Corridoi umanitari / 2. Lecco. Scuola, cure, dignità per una famiglia eritrea
Foto di repertorio
I volontari di Olate, quartiere manzoniano di Lecco, l’hanno ribattezzata "Casa Bakhita". Perché la santa africana, canossiana sudanese che da bambina fu schiava e poi venne liberata, passò da Lecco nel 1937 con la zia suora di Marta, la padrona di casa. "La gente fu stupita - racconta Marta, maestra elementare in pensione da un anno - perché era una delle prime persone di colore che vedevano". Certo, 80 anni fa la casa non era ancora stata costruita e nel frattempo il legame tra Lecco e l’Africa si è rinsaldato grazie ai missionari originari di questa zona e all'opera educativa formativa del Coe. Dal 27 giugno la Caritas Ambrosiana ha portato a "casa Bakhita" dal campo profughi etiopico di Scimelba, con il programma dei corridoi umanitari aperti dalla Cei, una famiglia eritrea di 5 persone, padre madre e tre figli. Il papà, lo chiameremo Thomas, ha 45 anni ed era agricoltore a Tesseney, vicino al confine sudanese, come tutti i Cunama, una minoranza dispersa tra Sudan, Etiopia ed Eritrea.
"Siamo gente pacifica - racconta - così quando mi sono trovato a casa i militari che volevano requisirmi i terreni perché nel sottosuolo ritenevano ci fosse qualcosa che gli interessava, ho capito che non avrei avuto un indennizzo adeguato, ma solo guai. E ho pensato che per me e la mia famiglia era meglio fuggire." Così Thomas e la moglie raggiungono il campo profughi di Scimelba, in Etiopia. Intanto l’uomo scopre di avere il diabete e la situazione nel campo diventa difficile. Vengono scelti dalla Caritas italiana e dalla Ong Gandhi come elementi vulnerabili per venire nel nostro Paese con altre 108 persone e dopo un mese ad Addis Abeba partono per la nuova vita. Nel frattempo il terreno lecchese era stato preparato.
"A gennaio - racconta Angela Missaglia, operatrice della Caritas decanale e responsabile del rifugio notturno per senza dimora - dopo che Caritas italiana aveva coinvolto le diocesi nei corridoi umanitari voluti dalla Cei in Etiopia, abbiamo iniziato a lavorare per creare la rete dell’accoglienza diffusa a Olate". Angela coinvolge i volontari della parrocchia dei Santi Vitale e Valeria ( che non vogliono che scriva i loro cognomi) e la comunità pastorale. La tradizione vuole che la chiesa sia quella in cui don Abbondio celebra le nozze di Renzo e Lucia e la presunta casa di Lucia Mondella sarebbe stata distante solo 50 metri. La "Casa di Bakhita" non dista di più. E Angela, che ha alle spalle anni di esperienza in Congo e poi al Coe, trova risposta proprio da alcune delle persone che hanno sostenuto il suo volontariato internazionale in Africa. Marta, che mette a disposizione la casa dei nonni, e Tina. La prima si assume il compito non facile di insegnare l’italiano alla famiglia: solo il figlio più grande parla un po’ di inglese, in compenso lei conosce il francese. Eppure funziona, cominciano a capire la nostra lingua. Marta si aiuta con immagini e oggetti, ma secondo Angela è la lingua del cuore ad abbattere le barriere. A settembre i due figli piccoli inizieranno la scuola, la ragazza alle medie e il bambino alle elementari. Hanno presentato domanda all'istituto del quartiere, la paritaria della salesiane di Maria Ausiliatrice anche perché la famiglia è cattolica. Marta si è offerta di fare l’insegnante di sostegno volontaria.
Tina invece ha abitato per anni nel condominio di "Casa Bakhita". E con pazienza si occupa della logistica aiutando il nucleo africano catapultato in una realtà completamente nuova a fare la spesa, ad esempio, e ad allacciare rapporti di buon vicinato con tutti rispettando le regole.
"A una riunione di condominio - spiega - è stata invitata Angela che ha spiegato il progetto della Caritas Ambrosiana. Non ci sono state obiezioni, solo i condomini hanno detto che preferivano una famiglia. Adesso sono contenti".
La famiglia tutor è quella di Gaetano e Milena, che ormai hanno i figli grandi e che dopo aver accolto in casa negli anni persone con problemi di droga e Aids e aver dato una mano a ragazze madri e ad ex carcerati, hanno deciso di stare accanto ai profughi. Passano da "Casa Bakhita" ogni giorno. Adesso stanno cercando ad esempio un orto per Thomas, che sogna di tornare a coltivare.
"Ci ha convinti - spiega Gaetano - il discorso del Papa sull’accoglienza, la protezione, la promozione e l’integrazione dei miranti. Abbiamo cercato di preparare al meglio l’accoglienza, ma non basta. Dobbiamo fare in modo che diventino cittadini lecchesi senza perdere la loro cultura e le loro tradizioni".
Martina, che ha terminato da poco il servizio civile, si occuperà di portare i tre figli a fare sport. Gaetano sin sta interessando per trovare una squadra di calcio al 18 enne che ha ancora nostalgia degli amici del campo profughi e che a settembre con i genitori si iscriverà a un corso di formazione professionale per adulti.
Nel frattempo le lunghe pratiche burocratiche per l’asilo - chi arriva con i corridoi umanitari ha diritto per legge al permesso di un anno - e l’assistenza sanitaria sono svolte dalla cooperativa Arcobaleno, promossa dalla Caritas decanale lecchese. I costi sono in parte a carico dei fondi otto per mille della Cei e in parte alla Caritas Ambrosiana che finanzia il progetto con proventi della raccolta di abiti usati. Alla famiglia, che ha un anno di tempo per imparare la lingua e frequentare scuole e corsi di formazione professionale, va anche una piccola somma per le spese. Il gruppo dei volontari è completato da Antonella, giovane infermiera che aiuta in particolare Thomas a curarsi.
"Mi sono sempre chiesta - afferma - cosa potevo fare davanti a un problema epocale come quello dei profughi. Ho avuto la possibilità di dare la mia goccia nel mare". Non si fanno miracoli a Casa Bakhita, ma a a piccoli passi dal 27 giugno il gruppo ha camminato molto accanto a questa famiglia. "Sappiamo che dobbiamo fare molta strada - ribadisce Gaetano -, intanto ci hanno dato un’iniezione di energia e speranza per affrontare questi tempi".
Corridoi umanitari / 1 Salerno. Tsige, Yonas, Enock: l'orto e l'informatica per sognare un futuro (di Antonio Maria Mira)