Cei. «Rifugiato a casa mia», arrivati 139 profughi dall'Etiopia
L'arrivo dei profughi con il corridoio umanitario (Siciliani)
“Questa è l’Italia che vogliamo”. Quella che augura il benvenuto a casa ai 139 profughi subsahariani – 135 eritrei e 4 somali - arrivati questa mattina a Fiumicino con il corridoio umanitario aperto con l’Etiopia alla fine del 2017 dalla Cei con il governo italiano.
Un’Italia autentica, diversa da quella incattivita dei social e stanca delle polemiche, della valanga di odio in rete. Conscia di stare all’avanguardia in Europa con la proposta finora simbolica, ma vincente dei corridoi di accesso per i più deboli nella Fortezza Ue da integrare in famiglia, non in grandi centri.Il governo lo riconosce.
Nella sala arrivi dell’aeroporto romano è rappresentato dal sottosegretario agli Esteri Emanuela Del Re, che elogia l’iniziativa e i suoi promotori, Caritas italiana, Migrantes, Comunità di Sant’Egidio e l’a ong Gandhi Charity. “L’Italia – spiega Del Re, – dice si alle vie di ingresso legali e in sicurezza nel nostro Paese. E’ importante che il programma dei corridoi umanitari sia stato realizzato dalla società civile, da enti e dalle Chiese in collaborazione con il governo”.
E il prefetto Gerarda Pantalone, in rappresentanza del Viminale – l’altro dicastero coinvolto nell’operazione di trasporto legale di profughi con visto di ingresso per un anno per motivi umanitari -, assicura che l’esperienza, in via di conclusione in autunno con l’arrivo degli ultimi 150 dei 500 profughi previsti, continuerà nel 2019. “E’ un esempio bellissimo di collaborazione e un impegno a integrare i rifugiati politici ritenuti tali. Il ministero degli Interni continuerà a dare il suo sostegno alle migrazioni legali e in sicurezza, modulo che vogliamo sostenere e sviluppare”.
I 139 profughi, tra cui 31 famiglie e 62 bambini, una neonata di poche settimane, verranno accolti in 22 diocesi di tutta Italia.
“L’accoglienza sta trovando tante famiglie disponibili: questa è l’Italia che stiamo insieme costruendo attraverso l’esperienza bella dei corridoi umanitari", puntualizza il segretario generale della Cei monsignor Nunzio Galantino. Per il quale è finito il tempo “delle contrapposizioni inutili. Davanti alle storie e ai volti dei profughi non c’è colore politico che tenga. Dobbiamo liberarci dal tifo da stadio che non ci porta da nessuna parte, partendo dai fatti più che dalle parole”. Salutando il confratello Antonio De Luca, vescovo di Teggiano-Policastro venuto ad accogliere personalmente i profughi, ha aggiunto: “Tanti vescovi mi fermano per chiedermi quando toccherà alla loro diocesi”. Galantino ha ringraziare il governo “per questa apertura e disponibilità, la Caritas, la Comunità di Sant’Egidio e gli italiani che destinano l’otto per mille e che, nonostante qualche episodio deprecabile, continuano ad avere fiducia nella Chiesa italiana”.
Anche Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio, è stufo di polemiche. “Oggi è il giorno in cui parlano i fatti: c’è un’Italia delle istituzioni, delle associazioni, delle Chiese, dei movimenti che vuole proteggere chi ha bisogno di protezione internazionale. Il nostro Paese è capace di accogliere e integrare: questo è il messaggio che arriva da qui. Ormai i corridoi non sono una buona pratica, ma una realtà vera del nostro Paese”.
Sommando infatti gli arrivi di siriani con le chiese evangeliche e i corridoi appena aperti in Belgio e Francia, in tre anni sono arrivate legalmente in Ue oltre 2.000 persone vulnerabili. “I profughi sono stati scelti nei campi profughi etiopici – spiega Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas nazionale - dove alcuni hanno vissuto anche parecchi anni. Verranno accolti per un anno e aiutati a inserirsi da comunità, parrocchie e istituti religiosi".
Nella parrocchia di Santa Maria degli Angeli, accanto allo scalo romano, don Giovanni Soccorsi ha ospitato a pranzo i 139 in partenza per le nuove case. Tra loro tre eritrei, due ragazze e un giovane, diretti in Lombardia, segnati da anni di permanenza in campi profughi e dalle torture nel deserto del Sinai, dove erano stati sequestrati nel 2013 dopo essere stati venduti ai predoni beduini dai militari sudanesi.
“Ho visto morire per le botte prese sei persone – spiega Mussie, 24enne – uno era un mio amico, avevamo disertato insieme. Ci lasciavano i cadaveri in cella per giorni. Era il monito per chi non pagava il riscatto di 25 mila dollari”. Quando è stato liberato, gli egiziani lo hanno arrestato nel deserto. Lo ha salvato dalla galera l’ong Gandhi di Alganesh Fessaha che lo ha portato dal Cairo ad Addis Abeba. Le altre due hanno vissuto la stessa sorte, vendute come animali ai loro aguzzini e imprigionate in Egitto, poi salvate e tornate in Etiopia. Adesso il futuro non è più un miraggio, ma una sfida da affrontare.