Cooperazione. Petrelli (Oxfam): Piano Mattei? Per ora c'è solo un taglio di 590 milioni
Francesco Petrelli
Lo sviluppo dell’Africa sempre presente nella narrazione del governo. Ma i numeri dicono che nel 2023 l’esecutivo ha tagliato l’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) di 631 milioni di dollari (590 milioni di euro) rispetto al 2022. Cioè da 6,646 miliardi di dollari a 6,014. «C’è un’evidente contraddizione», commenta Francesco Petrelli, portavoce di Oxfam Italia, da sempre nel mondo delle ong per la cooperazione allo sviluppo. «A questo si somma un problema di metodo: lo scarso coinvolgimento nella programmazione sia dei paesi destinatari dell’aiuto, che degli altri attori pubblici, privati e del terzo settore. Senza contare che l’Agenzia per la cooperazione avrebbe bisogno di fare un tagliando».
Sull’Africa il governo dice di puntare molto, anche perché lo sviluppo ridurrebbe le migrazioni.
È dal discorso di insediamento che Giorgia Meloni parla del Piano Mattei. Alla conferenza Italia-Africa di gennaio si è parlato di «nuove pagine da scrivere di un nuovo libro». Poi però i dati del DAC, il Comitato sviluppo dell’Ocse, al 31 dicembre 2023 ci parlano di un taglio all’Aiuto pubblico allo sviluppo del 15,5%. Noi continuiamo ad avere fiducia. Però c’è un problema di coerenza generale. Rileviamo una grande distanza tra enunciazioni e realizzazioni, pur tenendo conto del gradualismo e della complessità. È incontrovertibile che nel primo anno di piena gestione del governo Meloni, la cooperazione non solo non va avanti, ma fa marcia indietro. Se il governo annuncia un rilancio della cooperazione, ma poi taglia l’Aps, la contraddizione è evidente. E poi c’è un limite metodologico.
A cosa si riferisce?
Al fatto che non si può costruire una relazione con l’Africa senza coinvolgere tutto il sistema italiano della cooperazione. E cioè le ong, ma anche Confindustria, università, amministrazioni locali, per mettere a sistema tutto questo grande potenziale. Sì, poi siamo stati cooptati in una cabina di regia, riunita finora una volta sola. E sul Piano Mattei non c’è ancora un documento di approfondimento, solo otto pagine in cui si indicano settori e paesi prioritari.
È stato ripetuto che l’approccio sarà paritario e non predatorio.
Bene. Però la conferenza Italia-Africa con venti capi di stato andava preparata in anticipo, come i G7, per evitare un approccio dall’alto al basso. Il presidente dell’Unione africana, Moussa Faki, a gennaio dichiarò: «Avremmo auspicato essere consultati sul piano Mattei». Se un leader arriva a dire pubblicamente una cosa del genere, deve essere parecchio seccato.
Il nome di Mattei rimanda al settore petrolifero. E la premier nelle su missioni in Africa è stata spesso accompagnata dal numero uno dell’Eni, Claudio Descalzi. Sono le risorse fossili la bussola del piano?
I primi segnali sono questi, anche se siamo ai primi cinque minuti della partita. Al momento non esiste un documento di visione e strategia del Piano Mattei. E tutto questo va letto alla luce dei dati Ocse.
Cioè quel taglio di 631 milioni di dollari tra 2022 e 2023, pari a 590 milioni di euro. Che per i progetti africani è una diminuzione secca del 30%.
Il governo ripete che va rilanciata la cooperazione bilaterale. I dati però dicono esattamente il contrario. Per l’Ocse il decremento del 15,5% dell’Aps è dovuto soprattutto a una diminuzione dell’aiuto bilaterale: il finanziamento per l’Africa cala da 515 a 351 miliardi di dollari, l’aiuto ai paesi più poveri da 381 a 265, alle crisi umanitarie del 36%. L’Onu da 10 anni raccomanda una percentuale dell’Aps per i paesi a basso tasso di sviluppo tra 0,15 e 0,20. L’Italia, dal documento triennale di programmazione, è allo 0,06%. Nemmeno la metà.
La riforma della cooperazione compie 10 anni. Ha funzionato?
La legge del 2014 è valida, ma ne va semplificato il funzionamento e l’efficienza. Un esempio? L’Aics ha un miliardo e 300 milioni che non riesce a spendere, per problemi di funzionamento e procedure. Non vorremmo che alla fine, pur di spendere i fondi, si punti su pochi mega-progetti da centinaia di milioni con Eni o altre grandissime imprese. Tagliando fuori gli attori del sistema Italia.
L’altro nodo è quello dell’Aiuto pubblico allo sviluppo, dirottato sull’accoglienza ai profughi.
Sì, nell 2023 ben 31 miliardi di dollari - calcola l’Ocse - sono stati spesi in Italia per l’accoglienza. Cioè gli ucraini e i 155 mila arrivati dal mare. Soldi che non escono fuori dai confini italiani. L’assistenza è legittima e necessaria. Ma diversi Paesi in Europa, come pure gli Stati Uniti, non la calcolano nell’aiuto allo sviluppo. Sono soldi spesi a casa nostra.
E come si colloca l’Italia nella classifica dei paesi che fanno cooperazione allo sviluppo?
Primi sono gli Stati Uniti, nel 2023 hanno investito 66 miliardi di dollari. Seconda è la Germania con 36, tra i cinque virtuosi che hanno raggiunto lo 0,70 della ricchezza nazionale. Poi Giappone e Gran Bretagna entrambi con 19, quindi la Francia con 15. Noi poco più di 6 miliardi di dollari. In euro da 6 mila 213 milioni a 5 mila 622 Certo, sono economie più forti della nostra, ma l’Italia dovrebbe almeno prevedere un piano di avvicinamento a quell’obbiettivo. Non fare passi indietro. Ricordo che lo 0,70 è stato proposto nel 1970 dal Rapporto Pearson delle Nazioni Unite. Più di 50 anni fa. Di fronte alla poli-crisi - guerra, instabilità, crisi climatica - manca una visione e una strategia. Non esiste “o noi o loro”. E non parlo di etica e solidarietà, ma di interessi comuni. Gli eventi meteo estremi non sono solo in Africa, ma anche in Emilia-Romagna. Basterebbe, anzi sarebbe già moltissimo, una bella di buon senso e realismo.