Nel mondo del non profit è ormai un ritornello. Il Comune tagliando sui servizi pensa di ridurre la spesa, è la constatazione amara di tante organizzazioni , ma se solo sapesse quanto gli facciamo risparmiare noi... Ecco, appunto: quanto? Perché se è vero che spendere per il sociale è un investimento, è ora di capire che valore ha, in termini brutalmente economici, l’opera nel welfare del Terzo settore. Soprattutto oggi, in tempi di vacche pubbliche assai magre. Qualcuno però ci sta provando: una ricerca dell’Università degli Studi di Brescia dimostra che ogni lavoratore appartiene a categorie svantaggiate, inserito nelle cooperative sociali di tipo B, fa risparmiare all’ente pubblico 4mila euro l’anno. Soldi che i servizi dovrebbero spendere, se quella persona stesse a spasso. È un approccio pragmatico, quello del V Festival del Volontariato in corso a Lucca fino a domenica, organizzato dal Centro nazionale per il volontariato (Cnv) e dalla Fondazione volontariato e partecipazione. Un’occasione di dialogo tra addetti ai lavori e politici, come il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti e il sottosegretario Luigi Bobba, a pochi giorni dal primo sì alla Camera della legge delega di riforma del Terzo settore, che Bobba spera di vedere votata definitivamente entro l’estate. È Edoardo Patriarca, presidente del Cnv, a ribadire che «misurare l’efficacia dell’opera del Terzo settore e del volontariato serve ad aiutare chi davvero merita». Il paradosso è che l’economia gira tutta intorno ai 'beni', mentre il 'bene' non sembra contabilizzabile. Ma non è detto. Elisa Chiaf è ricercatrice all’Università di Brescia. E anche assessore ai Servizi sociali in un piccolo Comune, Borgosatollo. Teoria e pratica, insomma. Dopo cinque anni di analisi su 1.200 persone inserite in cooperative sociali di tipo B, in Lombardia e Trentino, ha calcolato quanto queste organizzazioni fanno risparmiare agli amministratori. «In media 4 mila euro l’anno, spiega la ricercatrice , e il 50% del risparmio è per il Comune. Ma un detenuto inserito in una coop fa risparmiare più del doppio, circa 9 mila euro». Chiaf, che è anche assessore, racconta quando il collega al Bilancio voleva tagliare le pulizie «per risparmiare, mi diceva, 2mila euro l’anno: fermo, gli ho detto io, perché le pulizie le fanno i lavoratori della cooperativa sociale, che se restano a casa ci costeranno ben più di quei 2 mila euro». Un altro esempio? Tutti quegli anziani che, al 'parcheggio' sulla panchina preferiscono le attività culturali di tante associazioni. Pierluigi Sacco dello Iulm spiega che hanno un benessere psicologico generale superiore agli altri. «Il che si traduce – esemplifica – in un calo del 6% circa di ospedalizzazione, ovvero un effetto macroeconomico spaventoso sui bilanci della sanità». Non basta? Guido Chiaretti, presidente di Sesta Opera San Fedele, organizzazione di volontariato carcerario, ricorda che «il Dap ha calcolato che ogni punto percentuale di recidiva in meno fa risparmiare allo Stato 51 milioni di euro. E la Banca d’Italia ha calcolato che a Bollate, fiore all’occhiello dei penitenziari italiani, la recidiva è ridotta dal 30%» rispetto a una media nazionale tra il 60 e il 70%. Anche il ministro Poletti si dice «convintissimo di questo metodo». Ma, dice, «bisogna fare a botte per cambiare la contabilità pubblica, perché non spendere un euro per risparmiarne 50 è da cretini». Stessa disponibilità su un altro investimento sociale tanto dibattuto, quello del Reddito minimo di inserimento. «Uno strumento di contrasto alla povertà serve», a patto «che sia una delle tre gambe dell’intervento, assieme alle politiche per l’occupazione e alla presa in carico da parte dei servizi». Il sottosegretario Bobba cita uno studio dell’Intergruppo parlamentare sulla sussidiarietà per dire che «l’investimento dello Stato in sussidiarietà è più efficace e redditizio di un intervento statale diretto ». A chi obietta che questa riforma favorisce la ritirata dello Stato dal welfare, Patriarca ribadisce che «in alcuni campi lo Stato s’è già ritirato, come nell’assistenza agli anziani. Le famiglie si sono dovute inventare le badanti. Non ci serve una riforma che fotografi il Terzo settore che c’è, ma quello che ci dovrà essere domani».