Che sia un addio i 150 commensali invitati lo comprendono appieno a fine pranzo, quando in un silenzio commosso i venti detenuti si spogliano della casacca bianca da cuoco indossata per dieci anni e vestono quella ruvida e marrone da carcerato. Sono le battute finali di quella
che al carcere 'Due Palazzi' di Padova ieri hanno chiamato 'Il penultimo pranzo', non una protesta, chiariscono subito, ma «una giornata di speranza testimoniata
».
Per un decennio, dal 2004 ad oggi, in dieci carceri italiane il Dipartimento di amministrazione penitenziaria ha fatto partire una sperimentazione senza precedenti, affidando la gestione delle cucine a cooperative che fanno lavorare
i detenuti.
«Chi sconta la pena vegetando per anni tra noia e ozio nel 68% dei casi torna a delinquere – ricorda Nicola Boscoletto, presidente della Cooperativa Giotto –, invece dove ai detenuti si dà lavoro vero, la recidiva crolla al 2%». Inoltre i carcerati, assunti regolarmente dalle cooperative, con il proprio sti-
pendio (circa 800 euro) mantenevano la famiglia a casa, pagavano le tasse come ogni cittadino e soprattutto risarcivano le spese di soggiorno in carcere.
Eppure a una buona prassi, in teoria destinata ad estendersi, il ministero della Giustizia ha detto no: domani saranno gli stessi detenuti a restituire le chiavi delle cucine all’amministrazione penitenziaria, che tornerà a gestirle
esattamente come avveniva dieci anni fa. A lavorarci saranno sempre i detenuti, solo che «non saranno più dipendenti delle Cooperative, ma nostri », spiega il direttore del 'Due Palazzi', Salvatore Pirruccio.
«Non vi preoccupate, andremo avanti come prima, mangerete anche venerdì», prova a scherzare. In realtà cambia tutto:
un taglio dei fondi del 34% determinerà immediatamente che anche un terzo dei detenuti resterà senza impiego e quel 'lavoro vero', così determinante per la rinascita, lascerà il posto ai cosiddetti 'lavori domestici', (cuciniere, scopino, spesino, lavapiatti...), sottopagati e privi di professionalità: «In effetti la mercede è pari ai due terzi del contratto collettivo nazionale del lavoro fermo al 1993 – ammette il direttore- quando con 10mila lire si
faceva la spesa».
Il 'Penultimo pranzo', insomma, è parecchio triste, ma i detenuti servono a tavola con gentilezza impeccabile. Il menù è quello delle
grandi occasioni. Ai tavoli le autorità militari, civili e religiose della città.