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IL PIANETA SALUTE. Non è il controllo centrale la via per ripensare la sanità

Paolo Viana venerdì 7 dicembre 2012
La sanità andrà pure "ripensata" come dice Monti, ma non va statalizzata. «L’idea di poter governare dal centro una trasformazione così significativa, seppur giustificata dagli scandali delle regioni, è illusoria» scrivono infatti gli autori del rapporto Oasi, uscito in questi giorni. A firmarlo è il Cergas, il pensatoio della Bocconi che ogni anno fa la radiografia al sistema sanitario nazionale. I "colleghi" del premier (Monti è stato docente e rettore dell’università milanese) bocciano la spending review e chiedono «maggiore integrazione delle risorse, degli interventi, delle professionalità, delle unità organizzative, delle stesse aziende». Le loro conclusioni sono esplicite: «il quadro è caratterizzato da risorse insufficienti, da una delegittimazione di regioni e management, da stakeholder che non sembrano percepire appieno l’urgenza di intervenire». Secondo questo studio, dopo gli scandali dei mesi scorsi, il management della sanità pubblica è diventato il «capro espiatorio» dei problemi sanitari ma il Ssn è tutt’altro che quel buco nero di sprechi e disservizi che si crede. Lo dicono, innanzi tutto, i risultati: per quanto la speranza di vita alla nascita nei paesi europei sia cresciuta sensibilmente in trent’anni, quella italiana supera la media (82 contro 80, una delle più elevate al mondo...). In questi anni, ospedali e istituti psichiatrici pubblici sono diminuiti così come i loro posti letto, mentre sono aumentati quelli dei day hospital e delle strutture accreditate. Solo quattro regioni - Molise, Lazio, Provincia autonoma di Trento ed Emilia Romagna - presentano ancora una dotazione di posti letto superiore agli standard previsti dall’intesa Stato-Regioni. Il privato accreditato tende a rimpiazzare il pubblico nell’assistenza territoriale, cresciuta fortemente tra il 1997 e il 2009, particolarmente nell’ambito delle residenze, ma anche in questo caso si verificano forti differenze tra le Regioni. Scendendo nel dettaglio, calano i ricoveri per acuti e la loro degenza media e aumentano quelli in riabilitazione e lungodegenza, confermando che questo è un Paese per vecchi e che le preoccupazioni del governo sono legate proprio a tali prospettive. In Italia, insomma, ci si ammala meno e quando ci si ammala si trascorrono meno giornate in ospedale, rispetto al passato, ma è sempre più complessa la casistica trattata dal sistema sanitario nazionale e - indici alla mano - le strutture pubbliche e accreditate la affrontano con una maggiore «appropriatezza organizzativa e clinica». Secondo il Censis, del resto, oltre il 56% dei cittadini è soddisfatto dal Ssn. Uno dei pochi indicatori "peggiorativi" riguarda le nascite: si effettuano sempre più parti cesarei e il 29% di punti nascita è sotto la soglia dei 500 parti all’anno. Ma il dato più significativo riguarda la spesa sanitaria. Secondo i confronti internazionali, quella italiana è del 21% inferiore al dato europeo. Spendiamo meno per la sanità pubblica sia in termini di spesa pro capite che in termini di incidenza sul pil e il contributo dello Stato è ancora inferiore a quello di diversi Paesi nordici. La spesa sanitaria corrente a carico del Ssn - anch’essa sensibilmente diversa da regione a regione - è cresciuta (+0,9%) tra 2010 e 2011, ma meno dell’anno prima e del quinquennio precedente, insomma è in chiaro rallentamento. Se poi si detraggono gli ammortamenti, è addirittura ferma. Quella privata è altrettanto bassa, se non in calo. Resta il macigno del disavanzo cumulato negli ultimi dieci anni: oltre 40 miliardi, trenta dei quali rimasti a carico dei bilanci regionali. I ricercatori della Bocconi mettono in chiaro che, se la spesa del Ssn è «sistematicamente inferiore alle medie europee» e presenta «trande caratterizzati da tassi di crescita molto bassi e disavanzi sempre più contenuti» ogni richiesta di sacrificio non può venire imputata al sistema sanitario ma deve trovare origine  «nell’elevato debito pubblico e nell’incapacità del sistema economico di crescere»: la spesa sanitaria cresce poco, ma sempre più del Pil... «La scarsità di risorse - dichiarano - non è responsabilità del Ssn ma si ripercuote sul Ssn» e «chiedere ulteriori sacrifici a un sistema già parsimonioso rischia di aggravare il divario tra le risorse disponibili e quelle necessarie per rispondere alle attese». L’Istat conferma: il 55% delle persone che ricevono una visita specialistica già oggi se la pagano interamente, con punte del 92% per odontoiatria e del 69% per ginecologia e ostetricia; il 20% della spesa per farmaci rimborsabili è sostenuta dai cittadini; il numero delle badanti con cui le famiglie "producono" servizi sociosanitari supera quello dei dipendenti del Ssn. Guardando al futuro, i ricercatori del Cergas chiedono al governo delle scelte: «potrebbe diventare necessario chiarire in modo più eplicito i livelli di assistenza che il Ssn potrà continuare a garantire su base universalistica. In caso contrario, il rischio è che si estendano forme di razionamento implicite e non governate, prevalentemente attraverso compartecipazioni di spesa e lunghi tempi di attesa». Un riferimento fin esplicito ai limiti dei Lea. Per attivare risorse aggiuntive, dice infine il rapporto, sarebbe necessario sviluppare meglio le attività intramoenia che incentivano il personale e le sperimentazioni cliniche, e rivedere le risorse impiegate per l’assistenza sociosanitaria, oggi troppo frammentate, e i fondi integrativi, «che non sono né complementari né supplementari rispetto al Ssn ma duplicativi».