Scoperta. L'insufficienza renale acuta si può prevenire. Prima volta al mondo
Il team guidato dal professor Landoni
L’insufficienza renale acuta (Ira) è più mortale e frequente dell’infarto del miocardio. E, fino ad oggi, non è mai esistito, a parte alcune misure di supporto, un trattamento specifico per prevenire questa condizione. Ecco perché l’individuazione, per la prima volta al mondo, di una terapia in grado di prevenirla, e che si basa sulla somministrazione endovenosa di aminoacidi, rappresenta un’autentica rivoluzione in ambito clinico. Una rivoluzione che parla italiano, visto che il capofila dello studio internazionale, pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine, è l’Ospedale San Raffaele di Milano.
La terapia è ancora riservata ad una piccola percentuale di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico con bypass cardiopolmonare. Ma l’impressione è che sia stata rotta una barriera che impediva ai ricercatori di apportare significativi benefici ai pazienti. Per decenni, infatti, gli studi sugli aminoacidi si sono principalmente basati sul loro effetto nutrizionale oppure di innalzamento della temperatura corporea. Ma ora le linee guida per questa malattia potrebbero essere riscritte. Vediamo perché.
I numeri
Partiamo dai numeri. Sono oltre 300 milioni l’anno gli interventi chirurgici nel mondo, 1 milione eseguito con ausilio di bypass cardiopolmonare. Il corpo e gli organi dei pazienti che affrontano un intervento sono sottoposti ad uno stress acuto e diversi studi affermano che a risentire dello stress operatorio sono soprattutto i reni, in quanto si riduce la perfusione renale ed aumenta il rischio di sviluppare insufficienza renale acuta, che può successivamente evolvere in malattia renale cronica. L’Ira, presente nel 10-15% di tutti i pazienti ospedalizzati nel mondo, e nel 50% dei pazienti ricoverati in terapia intensiva, rappresenta una condizione critica con alta mortalità e morbilità. Il tasso di mortalità a 90 giorni nei pazienti critici con Ira può arrivare fino al 30-40%, rendendo questo evento decisamente più mortale rispetto all’infarto del miocardio.
La ricerca a guida italiana è stata coordinata dal professor Giovanni Landoni, direttore del Centro di ricerca Anestesia e rianimazione del San Raffaele e ordinario all’Università Vita-Salute San Raffaele, e dal professor Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e rianimazione generale cardio-toraco-vascolare dello stesso ospedale e prorettore di Vita-Salute San Raffaele, e condotta in collaborazione con diversi centri italiani e nel mondo. In particolare, con Rinaldo Bellomo, docente di Terapia intensiva dell’Università di Melbourne, in Australia.