Intervista. Conte: «Questa destra è una tigre di carta. Ora basta armi»
Giuseppe Conte, ex presidente del Consiglio e leader del Movimento Cinque Stelle
Il presidente del Movimento è rientrato a Roma dopo qualche giorno al mare (al Circeo) per affrontare «con determinazione ed entusiasmo » la sua prima campagna elettorale da leader partitico. Da «capolista in più collegi», precisa, perché «a me piace mettere la faccia, non mi tiro indietro».
Giuseppe Conte, dopo 4 anni passati al governo il M5s saprà ritrovare uno spirito di opposizione?
Il M5s sta vivendo questa fase di rilancio senza rinunciare a valori fondanti: legalità, giustizia sociale, ambientalismo. Molti hanno letto in questa linea un’inclinazione barricadera. Io invece ci leggo responsabilità e coerenza.
Che opposizione farete a un centrodestra a guida Meloni?
La destra si batte non agitando uno spauracchio, ma smontando le loro ricette. Dimostreremo che questa destra è una tigre di carta. In una fase così delicata, che risposte può dare una coalizione che ha ritenuto prioritario trovare la quadra sulla spartizione dei collegi prima che sul programma? La legislatura inizierà con la legge di Bilancio: Salvini e Berlusconi giocano a chi la spara più grossa sulla Flat tax che è una presa in giro, mentre Meloni ancora non si è capito se la voglia.
Tramontato il campo largo, dove si colloca ora il Movimento? E con quali aspetti identitari?
Noi siamo nel campo giusto, dove i valori euro-atlantici e progressisti incontrano i capisaldi della storia a 5 stelle: transizione ecologica ed energetica, progressività fiscale, lotta al precariato, inclusione sociale. Non ci troverete in ammucchiate dell’ultimo minuto o in cartelli elettorali nati nei palazzi. L’agenda del M5s parte dalle urgenze dei cittadini e guarda a quel 2050 presente nel simbolo.
In futuro si potrà ritoccare il limite dei due mandati?
L’esperienza maturata da chi per 10 anni ha portato avanti le battaglie del Movimento deve essere un contributo in dote al prosieguo della nostra azione politica. Troveremo via via i modi più opportuni affinché resti valido il principio alla base della regola.
Virginia Raggi chiede subito regole chiare.
La rassicuro: ci saranno, chiare e puntuali, in linea con lo Statuto. Non come fatto da lei, quando nel 2021 si è autocandidata di sua iniziativa a Roma, in barba a ogni regola.
Queste elezioni sono anche per lei un’occasione per avere un gruppo parlamentare più omogeneo?
Mi aspetto che siano parlamentari capaci di rappresentare degnamente le nostre istanze. E saranno comunque espressione della nostra comunità.
Per lei quali sono le prime tre cose da fare al governo?
La prima urgenza è quella del lavoro: il M5s propone un salario minimo legale da 9 euro l’ora, per mettere fine a paghe da fame e sfruttamento legalizzato. Poi la lotta al precariato, mettendo fine a stage e tirocini gratuiti e tutte quelle forme contrattuali che umiliano i lavoratori. Infine, abbassamento del cuneo e cancellazione dell’Irap.
Lei ha detto che M5s ha realizzato l’80% degli obiettivi. Quindi il vostro programma sarà ristretto?
Al contrario. Il nostro programma riparte da quanto rimasto in sospeso in questa legislatura e si concentrerà sulle nuove urgenze del Paese.
Ma di quell’80% rivendica tutto o sono stati fatti degli errori? Penso al 110% che ha anche 'drogato' l’edilizia con prezzi artificiali o al cashback che ha aiutato soprattutto i ricchi.
No, nessuna abiura. Il Superbonus ha trainato il Paese contribuendo in modo decisivo al +6,6% di Pil ed è stato applaudito dai vertici di Bruxelles, mentre il premier Draghi ne parlava male. Il cashback ha spinto in alto i consumi ed è stato un alleato indispensabile in quella lotta all’evasione che ogni anno costa al Paese 100 miliardi di euro. Credo anzi che si possano migliorare queste misure che hanno già dato tanto al Paese.
Sul piano internazionale, la guerra in Ucraina intanto prosegue in un’indifferenza crescente.
Sì, le parole pace, negoziato, diplomazia sono sparite dal dibattito pubblico. Mi chiedo: ci siamo rassegnati all’ineluttabilità della guerra? Quando il M5s ha posto obiezioni, metteva in guardia proprio da questo: guerra chiama guerra. Ricordo le parole del direttore Tarquinio quando scrisse che «tutte le guerre hanno ragioni, ma solo la pace ha ragione»: vorrei fosse una posizione condivisa con forza da tanti. Una politica al passo con i tempi aprirebbe oggi un dibattito sulla necessaria fine della corsa agli armamenti, non solo in Ucraina.
Lei si rivolge spesso ai giovani. Lo fa perché è il bacino di riferimento del M5s?
Lo faccio perché sono il futuro dell’Italia, perché la terra che abitiamo la custodiamo per loro, non ci appartiene. Per queste ragioni la prospettiva politica del M5s è fatta di ecologismo e di attenzione a tutte le politiche giovanili.
Ad esempio?
Penso al potenziamento del congedo di paternità che va reso identico a quello delle mamme, perché il sostegno alla genitorialità è la prima ricetta contro l’inverno demografico che vive il Paese. A nuove e più forti garanzie statali per l’acquisto della prima casa agli under 40, con garanzia totale del mutuo. Infine, a una pensione di garanzia per i giovani costretti a contratti intermittenti.
Pensa che le riforme del Pnrr vadano continuate o che serva riscrivere il Piano?
Considerando l’impatto ancora attuale della pandemia energetica e dell’inflazione, riteniamo che i tempi di attuazione del Pnrr possano essere allungati, laddove necessario. Dopodiché, il regolamento europeo del Next Generation Eu prevede possibilità di adattamento del programma: potrebbero essere valutate.
Di Maio ha rinnegato Grillo, Di Battista lo definisce «padre-padrone». Per lei chi è oggi Grillo?
Beppe è un personaggio polarizzante, è normale che susciti sentimenti contrapposti e spesso contrastanti. Io lo conosco come l’uomo che ha anticipato priorità che sarebbero state centrali nella politica. Rimane fondamentale.
Al M5s si contesta spesso il no rigido a opere utili, vedi il Tap.
Noi abbiamo avuto sempre uno spirito costruttivo e propositivo. Se però si vuole insistere a usare le lenti del passato, se progresso fa rima con trivelle e combustioni fossili, allora non contate sul M5s. Noi siamo i primi a volerci battere per un reale investimento in energie pulite, non solo per la diversificazione energetica, ma anche guardando al volano occupazionale.
Cosa salva della cosiddetta agenda Draghi?
Nessuno ha mai capito cosa fosse questa agenda, se fosse stata scritta, quali capisaldi contenesse, se lo stesso premier l’avesse vergata di suo pugno o in compagnia di qualche suo fedelissimo.
Ma se il 26 settembre si creasse una situazione di pareggio, sarebbe pronto ad appoggiare un nuovo governo Draghi?
Mi sento di poter escludere questa ipotesi, che comunque non mi sembra sul terreno.
Dal centrosinistra sono giunti alcuni segnali al M5s. Sarà possibile riprendere un dialogo dopo il voto?
Non ci piacciono le speculazioni sul post-voto, il M5s non fa balletti. Noi abbiamo un’agenda sociale in 9 punti, che avevamo portato all’attenzione del premier Draghi e delle forze che si definivano progressiste. Queste priorità si trovano ora in un contesto più ampio per il Paese. Noi parliamo di temi: altro non ci interessa.
Cosa teme di più, l’avvento di un centrodestra che vuole il presidenzialismo o il Terzo polo di Calenda e Renzi?
L’ipotesi di un centrodestra che cambia la Carta costituzionale è sicuramente preoccupante; la questione però è capire come scongiurarlo. Secondo me non si può pensare di vincere rispolverando l’incubo dell’orda nera che marcia su Palazzo Chigi: è un refrain che non ha mai funzionato. Bisogna vincere sui temi, sull’idea di Paese che si propone. Per questa ultima ragione non temo l’ambo Calenda- Renzi: non si prendono, ma sono costretti a convivere per meri interessi di poltrona. Per loro l’Italia è una questione secondaria.