Intervista. Nannicini: «Conte, ora atti concreti. Pd non diventi sesta stella»
Tommaso Nannicini (già sottosegretario nel governo Renzi), economista, è uno dei 4 senatori del Pd - gli altri sono Pittella, Stefano e Verducci - che ieri hanno lanciato un appello a riprendere il dialogo con tutti gli attori di questa pazza crisi. E ha poi scritto su Twitter che «a volte da un male può nascere un bene». Un timido segnale di speranza. «Confermo. Il male – risponde Nannicini – è questa crisi di cui non si sentiva il bisogno. È vero però che non abbiamo bisogno neanche di un governo che vivacchia, tendenza a cui invece si propendeva».
E il bene?
Un rilancio di qui a fine legislatura per aggredire i nodi strutturali del Paese, evitando inutili ammiccamenti alle urne. Lavoriamo a questo, mettendo da parte personalismi e risentimenti. È ora di essere meno tifosi e più politici.
Come interpreta la nota di Iv?
È una disponibilità al dialogo, che bissa il segnale dell’astensione sulla fiducia. Ma lo strappo c’è stato e servono atti concreti. Tutti mettano da parte veti e personalismi, per ripartire dalla maggioranza che c’era e poi semmai allargarla, fissando priorità precise attraverso un dialogo vero tra i partiti. Ora non serve la caccia ai transfughi, ma quella alle idee. E vorrei che fosse il Pd a far partire un dialogo trasparente per un programma di legislatura. Alzando anche un po’ lo sguardo su cosa avviene fuori, per esempio negli Usa di Biden in positivo, o in Bosnia per i migranti in negativo.
La prima mossa spetta al Pd?
Lo chiedo al Pd perché è il mio partito. Ma sarebbe benvenuto chiunque lo facesse. A partire da Conte che, essendo stato finora un punto d’equilibrio nei suoi due governi, non dovrebbe perder tempo, non dovrebbe cavalcare la rottura, ma agire piuttosto per confermare questa sua caratteristica. Il premier faccia propria la necessità di una svolta.
Conte ha fatto poca autocritica?
Nei suoi discorsi alle Camere non ho visto che un richiamo generico al fatto che tutti facciamo errori e che la situazione da affrontare è difficile. Un po’ poco. Ma su scuola, lavoro, crescita, Terzo settore e pubblica amministrazione si sono visti ritardi e assenza di visione. Al governo riconosco due meriti: la gestione dell’emergenza sanitaria e l’ancoraggio all’Europa, dove non bastano però le parole.
E cosa serve?
Fare quello che ci chiede l’Ue. Nel nostro Piano nazionale, invece, mancano ancora obiettivi chiari e impegni precisi. Ci sono chiesti obiettivi misurabili già nel medio termine, mi sembra invece che lo viviamo come una mega- legge di Bilancio con i fondi europei. Prendiamo, a esempio, l’asse della transizione ecologica: deve attraversare in modo più trasversale tutti i settori. E il patto di legislatura deve far chiarezza sulle riforme. Il tema è come si spende, non quanto si spende. Altrimenti, i fondi per la crescita saranno come la diavolina per il fuoco, che brucia poco se poi non si mette la legna, cioè le riforme.
Lei vede un Pd immobile?
Riconosco al Pd di aver posto da mesi l’esigenza di stimolare l’esecutivo. Ho trovato però della timidezza di troppo: si deve sostanziare la richiesta di una svolta, i nodi non si sciolgono nascondendoli sotto al tappeto. Alla fine l’unica proposta del Pd che Conte ha rilanciato è il proporzionale. Non proprio il massimo.
Come si spiega tale timidezza?
Ci sono due letture. La prima è il senso di responsabilità, per non creare ulteriori tensioni in un momento così drammatico. Lettura comprensibile, ma non giustificabile, perché se non usiamo bene i soldi che stiamo prendendo a prestito dalle future generazioni ha poco senso garantire una governabilità. Ancora peggio è l’altra lettura, ovvero che c’è qualcuno che coltiva il disegno di un’alleanza strutturale e strategica con M5s.
Quasi un M6s, un Movimento a 6 stelle?
Esatto. In cui la sesta stella sono le correnti del Pd. Se questa fosse la linea, basata sul fatto che puntiamo a una coalizione anti-Salvini e Meloni con 4 'gambe' e Conte premier, non la condividerei. Sarebbe tutt’altra cosa dalla mia idea del Pd, quello nato con Veltroni. E soprattutto meriterebbe un congresso per essere discussa.
Si è chiesto qual è il fine ultimo di Renzi?
Ora non servono esercizi di psicologia politica, ma solo il dialogo. Rilanciamo sulle idee e sulle proposte. Anche perché è contraddittorio l’atteggiamento di chi nel mio partito ripete sempre che Renzi è al 2-3 per cento passando poi la maggior parte del tempo a parlare di lui.