La giornata. Il Senato conferma la fiducia al governo Conte. 156 sì, 140 voti contrari
Giuseppe Conte al Senato
Il Senato conferma la fiducia al governo Conte II con 156 voti favorevoli. I voti contrari sono 140, gli astenuti 16. Il risultato del voto è stato accolto dalla maggioranza con un applauso nell'emiciclo.
La giornata: il discorso di Conte al Senato
Forte dei 321 sì ottenuti lunedì sera alla Camera, Giuseppe Conte si presenta di buon mattino al Senato, dove lo attende oggi il passaggio più difficile, stretto in un livello di consensi che oscilla fra un minimo di 155 voti (che potrebbe favorire nuovi scenari) e un massimo accreditato a quota 157-158, comunque sotto la maggioranza assoluta dei 161 (ma le sorprese sono sempre possibili).
Il presidente del Consiglio ha cominciato a parlare alle 9 e 44 in un'aula piena (presente anche la senatrice a vita Liliana Segre, giunta appositamente da Milano per questo appuntamento), dopo il minuto di raccoglimento dedicato alla commemorazione della scomparsa del dirigente comunista Emanuele Macaluso.
Un discorso che sostanzialmente è stato la fotocopia di quello tenuto il giorno prima a Montecitorio, basato sull'appello ai «volenterosi» e sulla rivendicazione di un governo che «deve essere all'altezza» e della «linearità di azione che ha caratterizzato sin qui il mio mandato».
A far notizia, così, sono state soprattutto alcune puntualizzazioni. A partire da quella che è suonata come una nuova, dura critica a Italia Viva e a Matteo Renzi, quando ha rintuzzato le «accuse di immobilismo e assieme di correre troppo, di accentrare le decisioni e di non saper decidere», con la sottolineatura che «è complicato governare con chi dissemina mine e mina continuamente un equilibrio pazientemente raggiunto tra le forze di maggioranza». Ha ricordato quindi il rischio i far "sfociare in rabbia le istanze dei cittadini" quando la politica non dà risposte.
Un altro passaggio significativo l'ha fatto sulla riforma della legge elettorale. Dopo l'impegno del giorno prima a portare avanti un sistema elettorale, ha spiegato i perché del suo no al maggioritario: «Leggo delle interpretazioni, diciamo così, maliziose. Negli anni passati - ha detto Conte - abbiamo subito una frantumazione della rappresentanza, non possiamo fare una legge che costringa forze così diverse. Questo artificio contribuirebbe all’instabilità politica, non stabilizzerebbe il quadro».
Con il proporzionale, invece, le forze politiche dopo le elezioni saranno così «chiamate a definire accordi programmatici di alto profilo per governare, in modo da consentire una solida prospettiva politica», parole che qualcuno ha voluto leggere anche come un amo lanciato agli esponenti più europeisti di Forza Italia in vista del futuro. Sulle opere pubbliche, invece, il premier ha respinto l'accusa di stare perdendo tempo per non aver ancora nominato i necessari commissari: «Si è detto che le opere sarebbero ancora bloccate per la designazione dei commissari. Innanzitutto la lista c’è - sono state le sue parole -, ma non è così, le opere non sono mai state bloccate, perché i poteri dei commissari sono stati attribuiti dal decreto semplificazioni ai Rup, iresponsabili unici di progetto. Gli appalti di Anas e Rfi sono cresciuti di 4 miliardi rispetto al 2019».
E sugli ammortizzatori sociali ha ricordato l'esigenza di razionalizzarli, perché è già domani marzo», quando cioè scadrà il blocco dei licenziamenti.
Mentre sul Recovery plan,il piano di rilancio, ha ribadito ai senatori che «ci sarà ampia possibilità di interloquire e di raccogliere tutte le vostre indicazioni», aggiungendo che verrà «accompagnato con un intervento sulle certezze procedurali». Non è mancata una citazione del presidente Sergio Mattarella sulla necessaria responsabilità in questa fase e un richiamo al nuovo presidente Usa Joe Biden, dopo alcune polemiche dovute al non averlo citato nel primo discorso di ieri alla Camera.
Finito il discorso l'attesa è tutta per i numeri che, ha osservato Conte, «sono importanti, però ancora di più lo è la qualità del progetto politico» (passaggio accompagnato da forti brusii dell'aula).
Subito dopo è cominciato il dibattito, avviato dai sì annunciati (con alcune osservazioni critiche) da Pier Ferdinando Casini e dal senatore a vita Mario Monti. Le dichiarazioni di voto per il gruppo di Italia Viva, che come noto si asterrà, sono state delegate all'ex ministra Teresa Bellanova.
A metà pomeriggio ha invece preso la parola Matteo Renzi. "L'Italia è il Paese messo peggio al mondo sull'economia. L'Italia è il Paese al mondo con il peggior rapporto fra popolazione e decessi per Covid, occorre investire in sanità, farlo meglio e farlo adesso. Abbiamo il record negativo nella crisi educativa e scolastica: non se ne parla mai in modo compiuto, ma il dato di fatto è che l'Italia ha mandato i suoi ragazzi a scuola meno degli altri paesi in Europa. Questi tre record negativi sono macigni di cui lei non ha parlato, signor Presidente, nel suo discorso".
Liliana Segre al Senato - Ansa
Renzi ha ricordato anche quando a maggio, in occasione del voto di sfiducia al ministro Alfonso Bonafede, "Lei, Presidente, si alzò in questa Aula e chiese alla maggioranza un gesto di responsabilità. Noi l'abbiamo seguita", ricorda Renzi. Al contrario, quando "nel mese di luglio io mi sono alzato in questo banco e ho chiesto che il mese di agosto fosse dedicato solo a parlare del recovery plan, ma non siamo stati seguiti". Nel mese di settembre "Italia Viva, ma non solo Italia Viva, ha chiesto un cambio di passo. Nel mese di novembre ci siamo incontrati due volte a Palazzo Chigi e ci siamo detti di incontrarci per i tavoli a novembre; a dicembre abbiamo inviato una lettera di quattro pagine a cui non ha risposto, nel mese di gennaio abbiamo inviato un dossier alle forze di governo con le cose da fare". Insomma, "non è vero che siamo stati poco pazienti. Forse siamo stati troppo pazienti", dice ancora Renzi invitando Conte a "guardarsi dentro e decidere. Chi dice che durante la pandemia non si può fare politica nega la libertà di fare politica".
Infine, dopo gli interventi, ha preso la parola ancora Conte, che ha posto la questione di fiducia sulla risoluzione della maggioranza. Conte ha replicato sui numeri del Covid ("La Germania ha avuto quasi il doppio dei morti dell'Italia a gennaio, la cito perché è tra i Paesi più virtuosi in Europa. Il Covid sta mettendo in ginocchio Paesi più strutturati, che hanno investito più in sanità e che dovevano risultare più resilienti. Ma la contabilità dei morti è delicata, un argomento triste, lasciamola fuori dalla contesa politica e da polemiche poco onorevoli") e ha sostenuto di aver lavorato in questi giorni per arrivare a "un patto di fine legislatura".
Poi la stoccata a Italia Viva: "Ho spesso difeso le vostre istanze ma a un certo punto avete preso una strada diversa, che non è
quella della leale collaborazione".
Dopo la replica di Conte, nuovo giro di dichiarazioni di voto. E' il segretario della Lega Salvini, stavolta, a infiammare gli animi, quando ricorda "ai senatori a vita che legittimamente voteranno la fiducia" quel che disse di loro il leader dei 5 stelle, Beppe
Grillo: "'i senatori vita non muoiono mai o muoiono troppo tardì". Parole che scatenano la reazione dei senatori del Movimento, trattenuta a stento dal presidente Elisabetta Casellati che riprende Salvini giudicando le sue osservazioni "irrispettose" e "non appropriate".
Conte lascia il Senato prima dell'esito del voto
Fiato sospeso fino all'ultimo. Il caos è scoppiato sul voto di Lello Ciampolillo, ex senatore del M5, che durante il voto di fiducia a palazzo Madama non ha risposto alle prime due chiamate, ma sul filo di lana, quando la presidente del Senato aveva già chiuso le votazioni ha chiesto di poter esprimere il suo voto. Casellati ha deciso di fermare tutto e ricorrere alla registrazione della seduta prima di decidere se riaprire o meno il voto all'ex senatore del M5S. Dopo la valutazione dei questori del Senato, Ciampolillo è stato riammesso al voto, e così Nencini.
Sì alla fiducia con 156 voti (niente maggioranza assoluta)
Alla fine il risultato è di 156 sì alla fiducia, 140 no, e 16 astenuti. La maggioranza assoluta al Senato è di 161 voti. "Non ha i numeri", ha commentato Tajani, leader di Forza Italia, che ha chiesto un incontro con il presidente Mattarella. Dalle fila di Forza Italia vengono espulsi i due senatori azzurri che hanno votato sì, Maria Rosaria Rossi e Andrea Causin. Un viatico per l'operazione responsabili.