Attualità

Crisi di governo. Conte e i numeri, la prova decisiva

Roberta D'Angelo sabato 16 gennaio 2021

Il premier Giuseppe Conte sta facendo i conti

Le pedine sul tavolo da gioco vanno e vengono, ma non si riesce ancora a definire una strategia. Di fatto non ci sono i numeri per garantire una maggioranza al Senato. O meglio, Giuseppe Conte potrebbe avere la fiducia, ma sembra lontano dai 161 voti che gli garantirebbero quella maggioranza assoluta necessaria per arrivare a concludere la legislatura. E mentre il premier prepara il discorso della vita, sicuramente di quella del suo governo, Pd, M5s e Leu lavorano per reclutare consensi. Ciascuno con la propria strategia, ma tutti concordi nel non voler riaprire la porta a Matteo Renzi.

Nelle riunioni che si susseguono convulse di gruppi, partiti e schieramenti, si ragiona su come uscire da quella che ancora formalmente non è una crisi, ma che potrebbe diventarlo già domani, se il capo dell’esecutivo dovesse raggiungere la certezza di non avere i voti in Senato. E allora, dopo l’esito scontato della Camera (dove i voti sono comunque sufficienti), Conte potrebbe salire direttamente al Quirinale per dare le dimissioni. Ma fino all’ultimo il premier spera di evitarlo.

E allora tutti si mettono a caccia, dopo il passo indietro dell’Udc che avrebbe voluto entrare in partita dopo un passaggio formale dell’avvocato, vale a dire dimissioni e nuovo esecutivo. Il rifiuto di Conte, però, non viene ben digerito dai 5 stelle, che appaiono tra i più preoccupati delle conseguenze. Dopo un lungo vertice dei gruppi, i pentastellati si compattano su un’unica certezza: «L’impossibilità di qualunque riavvicinamento con Renzi, che ha voluto lo strappo nonostante i nostri parlamentari avessero lavorato bene su tanti progetti» con Iv. Parole ufficiali che seguono ore di panico e ragionamenti opposti, di una buona fetta di 5s pronti a ricucire lo strappo.

Una posizione ufficiale fatta propria anche dal Pd, che oggi riunisce la Direzione, e che per l’intera giornata si affida alle parole della vicepresidente Debora Serracchiani. «Siamo preoccupati per il Paese perché aprire una crisi al buio, come ha fatto Matteo Renzi con il suo partito, è incomprensibile per gli italiani e per tutti. Ora serve un patto di legislatura e una maggioranza politica che si impegni ad utilizzare al meglio i fondi del Recovery e a mantenere quella credibilità che abbiamo conquistato in Europa». Parole ribadite più tardi in una nota che sottolinea «il prezzo immenso» che starebbe già pagando il Paese. E allora i dem fanno pressione sui senatori di Iv, a cui affidano le sorti della legislatura. In sostanza, il messaggio è che senza il loro voto si torna alle urne. «Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità per salvaguardare gli interessi del Paese», incalzano da largo del Nazareno, dove l’idea di ricostituire un vero e proprio gruppo di "responsabili" sarebbe più opportuno che affidarsi a consensi sparsi. E comunque, subito dopo la eventuale fiducia, avvisa il vicesegretario Andrea Orlando, Conte dovrebbe presentarsi al tavolo della verifica finora disertato, per mettere nero su bianco il patto di legislatura promesso.

Che sia crescente il malessere verso il premier, su cui giocoforza tutti hanno fatto quadrato dopo l’uscita di Iv, è evidente. Tanto che a mezza bocca sono in molti a lasciar capire che se Conte fallisce nell’impresa, quella che si aprirà dopo sarà un’altra partita, e si vedrà. Anche sul possibile rientro in gioco di Iv. Di certo questo è lo scenario auspicato da Renzi, che assicura l’astensione sulla fiducia. Un modo per tenere insieme il gruppo, che comunque qualche scossone lo ha subito (e ieri ha perso un pezzo a Montecitorio), e che per ora tiene sulla linea del suo leader. Ma anche il senatore di Rignano sottolinea che a oggi i numeri per Conte «non ci sono».

La clessidra continua a scorrere, dunque, e i timori crescono e con i timori la prudenza impone di essere meno netti nel dire mai più con Iv. Da Leu il ministro Speranza ragiona: «Il dibattito è molto distante dalla vita reale. Dopodiché c’è il Parlamento, e sulla base del voto il presidente delle Repubblica potrà fare fino in fondo le sue valutazioni».