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Mes. Fondi salva-Stati, il Parlamento approva la risoluzione della maggioranza

Eugenio Fatigante mercoledì 11 dicembre 2019
La tensione in Senato si stempera ancor prima del voto finale, quando Giuseppe Conte raccoglie le sue carte e lascia l’aula poco dopo le 19 e 30. È il segnale che, fatti i conteggi fra assenti e ribelli, anche a Palazzo Chigi si sta tranquilli: la "spallata" non ci sarà.

Il lungo tormentone della revisione del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, che nelle ultime tre settimane ha inchiodato (e infuocato) il dibattito politico in Italia su spinta di Matteo Salvini, si chiude - ma solo per il momento - all’accensione del tabellone luminoso che certifica i 165 sì. È il via libera, dopo l’ennesima seduta infuocata, alla risoluzione unitaria di maggioranza (sulla quale era stato chiuso un faticoso accordo alle due e mezza dell’altra notte) improntata alla logica - in sé contraddittoria - del "pacchetto per tappe": a inizio 2020 il via libera "condizionato" a questa riforma del salva-Stati, poi, entro il 2024, gli altri passaggi sull’Unione bancaria e sulla garanzia comune europea sui depositi bancari, finora rimasti bloccati.

Un via libera "a tempo" perché la principale novità concordata è stata che ci sarà un nuovo passaggio in Parlamento a gennaio del 2020, preliminare al primo Eurogruppo dei ministri finanziari che tornerà a occuparsi del fondo salva-Stati (il testo di ieri tecnicamente riguardava solo il mandato a Conte in vista del Consiglio Europeo di oggi e domani a Bruxelles).

Nel documento infatti è stato inserito il «pieno coinvolgimento delle Camere in ogni passaggio», per approfondire i «punti critici» ed escludere restrizioni sui titoli sovrani detenuti dalle banche. «Senza chiarezza non approviamo niente, vogliamo essere sicuri al 200%, non firmerò finché i soldi degli italiani non saranno sicuri», sintetizza da Tirana, in Albania, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

Il resto della giornata è stata una sfibrante attesa della resa dei conti in Senato, per il "test di sopravvivenza" del vacillante asse giallo-rosso. Appena inframmezzato dal più tranquillo passaggio a Montecitorio, dove nel primo pomeriggio i sì erano 291 (contro 222 voti contrari), ben sotto la maggioranza assoluta. Colpa delle assenze, 14 delle quali fra i banchi dei 5s («Ma 12 sono giustificati», hanno detto dal gruppo). Un campanello d’allarme per il Senato, dove si accendono tutti i riflettori. È qui che il M5s fa preoccupare davvero gli alleati: uno dopo l’altro, in 4 manifestano il dissenso e votano no. Sono Stefano Lucidi, Francesco Urraro, Ugo Grassi e Gianluigi Paragone, e per 2 di loro (Grassi e Urraro, che hanno votato il testo dell’opposizione) si dà vicino il passaggio alla Lega. Spiccano le assenze di Matteo Renzi, l’ex premier e leader di Iv (all’estero), e, per un altro verso, quelle "sospette" di 10 forzisti.

In aula Conte aveva cercato di rassicurare per un’ultima volta. «L’Italia non ha nulla da temere, anche perché il suo debito è pienamente sostenibile, non è questo nella famiglia Ue il tempo per dividersi», ha detto il premier. E alla Lega e a Fdi che hanno alzato il polverone, ha risposto a muso duro: «Un dibattito molto confuso può indurre il sospetto che siamo noi stessi a dubitare» del nostro debito; inoltre alcune posizioni svelano «il malcelato auspicio» di uscita «dall’eurozona o, addirittura, dall’Ue».

In replica, subito i leghisti hanno urlato «vergogna», mentre Salvini ha ripetuto che «nessuno è intenzionato ad uscire dall’euro, alla copia distratta di Monti (così ha definito Conte, ndr) dico solo che nessuno è autorizzato a mettere in pericolo gli italiani». Il leghista ha anche citato gli economisti contrari al Mes: «Spero che non gli mettano la stella gialla per marchiarli d’infamia». E ancora: «Tolgono lo scudo penale all’ex Ilva e lo mettono ai dirigenti del Mes». L’ennesima accusa rintuzzata dal ministro del Tesoro, Roberto Gualtieri: «Solo fake news, sono immunità in linea con quelle delle organizzazioni internazionali, tipo Fao, Ue, Fmi, ecc.».