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Consulta: nuovo stop al Pacchetto sicurezza Misure alternative anche per l'omicidio

giovedì 12 maggio 2011
La Corte Costituzionale ha stabilito oggi che chi è accusato di omicidio, anche se ci sono gravi indizi di colpevolezza, non dovrà necessariamente rimanere in carcere, perché potrà essere beneficiario delle misure cautelari alternative, bocciando così una norma contenuta nel cosiddetto "pacchetto sicurezza" del 2009.La Consulta ha così dato ragione al Tribunale di Lecce e al gip di Milano che, trovandosi a giudicare su due casi di omicidio volontario, avevano sollevato questione di legittimità delle norme. Norme che - si legge nella sentenza scritta da Frigo - hanno fatto compiere un "salto di qualità a ritroso" al legislatore. Già da diversi anni, infatti, la Consulta e la Corte europea dei diritti dell'uomo avevano ritenuto adeguata la sola custodia in carcere unicamente per i delitti di mafia(così da "troncare" i rapporti tra l'indiziato e il sodalizio criminoso).Immediata la risposta del ministro dell'Interno Roberto Maroni, uno dei più fieri sostenitori del "pacchetto sicurezza", che oggi da Bruxelles si è detto "allibito" e ha parlato di un "gravissimo errore che mina le misure che abbiamo preso per la sicurezza dei cittadini".Maroni, che ha parlato al termine di un Consiglio Ue a Bruxelles dedicato a questioni di immigrazione, ha aggiunto: "riteniamo che chi ha commesso un omicidio debba rimanere in carcere".Ha reagito criticamente anche il sottosegretario Mantovano, che ha dichiarato "La Corte Costituzionale è chiamata a verificare la compatibilità con la legge fondamentale della Repubblica delle scelte legislative ordinarie del Parlamento. Non le compete invece esercitare quella discrezionalità che rinvia all'opzione politica del legislatore".Il mese scorso la Corte di giustizia dell'Unione europea aveva bacchettato l'Italia su un altro provvedimento contenuto nel pacchetto del governo Berlusconi, affermando che Roma non può punire con il carcere quei migranti irregolari che non rispettino l'ordine di abbandonare il Paese.