Attualità

Lo scontro. Giudice mancante della Consulta, nulla di fatto

Roberta D'Angelo martedì 8 ottobre 2024

Palazzo della Consulta a Roma, sede della Corte Costituzionale

Si passa dall’incertezza allo sconcerto, dalla maggioranza che compulsa le calcolatrici per arrivare al quorum dei tre quinti del Parlamento in seduta comune (le prime tre votazioni con il quorum dei due terzi sono andate a vuoto) alle opposizioni che non si aspettavano questo «blitz», per dirla con Elly Schlein, sull’elezione del nuovo giudice della Corte costituzionale: ci siamo coordinati con gli altri, non parteciperemo. «Non è un problema sul nome indicato dal centrodestra, ma sul metodo», ha detto la segretaria del Pd. Alla fine il centrodestra prende atto dell'impossibilità di nominare Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico di Palazzo Chigi, e opta per la cheda bianca per non "bruciarne" la candidatura. Contro - accusano i capigruppo di FdI, FI e Lega - «la propaganda delle opposizioni»

A scatenare lo scontro, la mossa a sorpresa della premier Giorgia Meloni con l’accelerazione dopo mesi di stallo. Ma con la consapevolezza di viaggiare sul filo di 2 o 3 voti di scarto.

L'agitazione è cominciata giorni fa, quando è trapelata - cosa piuttosto consueta per altro - la chiamata alle “armi” dei capigruppo che nelle chat whatsapp avvisavano del voto e della necessaria presenza compatta in Aula. Nessun altro impegno, dunque. Una richiesta legittima, di cui spesso si viene a sapere anche tra i non parlamentari, ma che - a quanto pare - a Palazzo Chigi si voleva tenere riservata. Di qui il sospetto delle opposizioni, che non credevano di vedersi imposto dall’alto il nome di Marini, il quale, tra l'altro, è estensore del progetto di legge per il premierato. Un nome sul quale, comunque, il centrodestra non intende per ora indietreggiare.

Il figlio del presidente emerito Annibale Marini prenderebbe il posto vacante da quasi un anno per cessazione del mandato di Silvana Sciarra. E tra i primi impegni alla Consulta, avrebbe quello di pronunciarsi sulle questioni di legittimità costituzionali sollevate da diverse regioni sulla legge per l’autonomia differenziata di Calderoli, nonché sull'ammissibilità del referendum abrogativo della stessa legge. Motivo in più, per le minoranze, per opporsi e per farlo unite. La richiesta del Pd di non partecipare al voto viene accolta subito da tutti i gruppi di opposizione. Dal M5s a Iv, da Azione fino ad Avs.

L’unico che si dissocia è Pier Ferdinando Casini, che considera il voto per il giudice costituzionale «istituzionalmente doveroso». Al Nazareno, poi, non sono piaciute le ultime trattative del M5s sulla Rai e c’era chi temeva uno scambio di favori nel segreto dell’urna.

A fare da stampella potevano (e potranno) essere invece diversi nomi del Gruppo misto, che si è andato infoltendo con i fuoriusciti da Azione. Mara Carfagna, Lorenzo Cesa e Antonino Minardo alla Camera, Mariastella Gelmini e Giusy Versace al Senato sono dati per certi e avrebbero fatto arrivare il pallottoliere a 362, uno sotto la soglia. Ma attualmente il ministro Tajani è in Argentina e Fitto in missione a Bruxelles. Ci sono certamente incerti nei gruppi per le Autonomie e meno tra i senatori a vita. Circolano i nomi di Meinhard Durwalder e Dieter Stegeer della Svp, che hanno più volte votato con il centrodestra, come anche Francesco Gallo di Sud chiama Nord, o Andrea De Bertoldi, espulso ad agosto dal partito e da FdI. O il valdostano Franco Manes. Ma, a conti fatti, la maggioranza si convince che non vale la pena tentare.