Candidato alla segreteria Pd. Cuperlo: «Conservare tutte le culture fondatrici»
Gianni Cuperlo
Roma «Dopo le settimane durate anche troppo a discutere di regole e temi secondari, è stata una giornata di contenuti: la relazione di Enrico, gli interventi di noi candidati, la qualità del dibattito... È stato un confronto che ha messo un po’ a fuoco a cosa deve servire questo congresso e io sono convinto che sia il congresso più importante da quando il Pd è nato ». Gianni Cuperlo, uno dei quattro sfidanti a succedere a Letta alla segreteria dem, è soddisfatto dell’assemblea appena conclusa.
Perché il congresso più importante?
Perché questa volta non è in discussione la scelta del nuovo leader, ma dobbiamo capire come far sì che questo progetto che ha 16 anni di vita non finisca, e non perda qualcuna delle culture fondatrici. E dobbiamo farlo perché in 16 anni abbiamo perso sei milioni di voti, subito tre scissioni, cambiato nove segretari. E quindi dovremmo avere compreso che non basta la sostituzione dell’ennesimo segretario a sciogliere nodi che non abbiamo mai sciolto.
Serviva la sua candidatura?
Sì, per tante ragioni. La prima è che girando l’Italia, dovunque vado la gran pare delle persone mi dice “noi non ci saremmo stati in questo congresso, non ci convinceva la piega”. La scelta di avanzare questa piattaforma era nata per allargare il perimetro della discussione e in questo senso ci siamo riusciti. Anche perché il nostro congresso è diviso in due fasi e la prima è quella dove votano gli iscritti e quanti aderiranno alla costituente fino al 31 di gennaio, e in questa fase è giusto che si confrontino punti di vista e piattaforme diverse, e dobbiamo farlo perché al governo non c’è la destra della Merkel e neppure del Berlusconi dello storico conflitto di interessi.
Vi preoccupa questa destra?
Questa è una ideologia della destra che in pochi mesi ha già mostrato la sua vera anima: migranti lasciati in balia delle onde per dimostrare che “la pacchia è finita”, condoni agli evasori fiscali, la povertà punita come una colpa da espiare. E allora c’è bisogno di costruire l’alternativa a questa destra. La mia proposta, dopo il congresso, è di costruire dei comitati per l’alternativa perché l’opposizione si fa nelle istituzioni, ma soprattutto nel Paese, e questa è la responsabilità che abbiamo oggi.
Lei parla di culture diverse nel Pd. In parte le avete perse: Art.1 è rientrato, ma il Manifesto ha rischiato di tagliare fuori i cattolici democratici, come aveva paventato Castagnetti...
Dobbiamo riannodare il filo in modo ancora più convincente. Io ho assistito a quella bellissima giornata promossa dall’associazione dei Popolari, presieduta da Castagnetti, e mi aveva molto colpito la qualità della discussione. La tesi di fondo era che la natura del Pd va preservata perché altrimenti viene a mancare la base, il piedistallo su cui si è fondato quel progetto, nato dall’ambizione più coraggiosa dell’ultimo mezzo secolo, che ha messo insieme diverse culture di questo Paese (comunista, socialista, azionista, laica, il cattolicesimo democratico, l’ambientalismo, femminismo, diritti...). Il ritorno di Art.1 oggi è stato senz’altro positivo. Dobbiamo trovare la ragione di una sintesi, non dobbiamo esprimere un nuovo programma di governo anche perché non si voterà a breve. Nessuno può più bastare a se stesso.
Il Pd resterà a vocazione maggioritaria?
Sì, ma con realismo. Nel 2007 c’era un bipolarismo che pareva consolidato e c’era chi immaginava una prospettiva bipartitica nel Paese. Oggi i poli sono quattro. Ed è evidente che dovremo in prospettiva costruire una coalizione, che non sia la somma di sigle politiche, ma un nuovo centrosinistra, che come fu nell’esperienza più bella dell’Ulivo, metta insieme pezzi importanti del tessuto del Paese.
Renzi è una delle culture che avete perso?
Le due scissioni più significative del Pd sono state compiute dai due leader più longevi, Bersani e Renzi (segretari per più di tre anni), e questo vuol dire qualcosa dei limiti vissuti in questa fase. Art.1 ha fatto una sua scelta. Matteo Renzi punta a un percorso autonomo che lo ha portato a dire alla nascita di Iv una frase non proprio amichevole, e lo dico simpaticamente: noi vogliamo fare al Pd quello che Macron ha fatto al Partito socialista francese. Mi pare che l’operazione non gli sia riuscita. Ma la nostra priorità resta il Pd.
Il M5s quanto ha intercettato e rappresenta oggi il vostro mondo?
Io credo che M5s abbia fatto un errore a far cadere il governo Draghi. Noi abbiamo sopravvalutato l’effetto lutto che la caduta di quel governo avrebbe prodotto sul Paese e abbiamo sottovalutato la capacità del M5s di interpretare la campagna elettorale con messaggi identitari, a partire dalla rivendicazione del Rdc. Mi colpisce che in una regione come il Lazio non ci sia stata la volontà di un’alleanza che avrebbe reso più forte una candidatura come quella di D’Amato, con il quale hanno governato. Non vorrei che ci fosse una logica di vedere le difficoltà del Pd e di pensare di poter sfruttare quelle difficoltà con un consenso che porti, dopo le europee, a sedersi al tavolo di una futura alleanza da una posizione di maggiore forza. Questo mi pare uno sguardo un po’ corto, perché alla luce dei tre mesi di governo della destra tutti dovremmo capire che le opposizioni dovrebbero cercare di costruire il massimo dell’unità, perché lavversario è la destra.
Le correnti saranno superate?
Chi si alza in piedi e dice “abbasso le correnti” ne sta costruendo una... (sorride, ndr). Io non mi indigno per l’esistenza di aree e sensibilità se sono luoghi di elaborazione di idee che danno un contributo utile e fanno parte di quel pluralismo che è l’ossatura del Pd. Diventano dannose quando sono filiere di potere che servono a garantire o distribuire dei posti. Diciamo così: meno posti e più idee.