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Riforma costituzionale. Con il taglio dei parlamentari non si vota prima del 2020

Danilo Paolini martedì 13 agosto 2019

Gli esperti hanno stimato che, con i sondaggi attuali, la Lega potrebbe contare su un numero ancora maggiore di seggi parlamentari se la prossima volta si votasse, anziché per eleggere 315 senatori e 630 deputati, per sceglierne rispettivamente 200 e 400. Eppure chi più insiste per portare a termine la legge di revisione costituzionale che 'taglia' 115 senatori e 230 deputati (quindi 345 in tutto) è il Movimento 5 stelle, che di quel testo ha fatto un suo cavallo di battaglia. Soltanto coerenza politica, a costo di autodanneggiarsi?

Forse non proprio. Tanto più che a sorpresa, nell’intervista domenicale in cui ha auspicato un governo 'istituzionale' da sostenere insieme ai 5 stelle, anche Matteo Renzi ha affermato che bisognerebbe votare quella riforma, arrivata ormai alla quarta e ultima delle letture previste dalla Co- stituzione per la revisione della stessa Costituzione. Ed è stata la sorpresa più grande, se si tiene conto che nelle altre tre letture i gruppi del Pd hanno votato contro la riduzione del numero dei parlamentari. La Lega, al contrario, ha fin qui sempre votato a favore, anche perché tra i firmatari delle proposte originarie (poi confluite in un testo unificato) figura il massimo esperto del Carroccio per le questioni istituzionali/ costituzionali: Roberto Calderoli.

E allora? Allora è questione di tempi e di tattica politica. La Lega vorrebbe andare al più presto alle elezioni anticipate, mentre il M5s e l’area renziana del Pd prenderebbero volentieri tempo per evitare di spianare la strada a un Salvini che nei giorni scorsi ha chiesto agli italiani «pieni poteri» (richiamando alla mente periodi ancora più difficili di quello attuale) e ovviamente anche per riorganizzarsi. Infatti, approvando in via definitiva la legge costituzionale che taglia i parlamentari (è a portata di mano, all’ordine del giorno della Camera per il 9 settembre) sarebbe impossibile andare a votare prima del nuovo anno.

Come per ogni riforma costituzionale non approvata nella seconda votazione dai due terzi dei componenti di ciascuna Camera (e questa è passata al Senato nel luglio scorso con 180 sì, 30 voti in meno della maggioranza qualificata richiesta) sarebbe infatti possibile entro tre mesi chiedere un referendum confermativo. Richiesta che possono avanzare un quinto dei membri di una Camera, o 500mila elettori, oppure cinque consigli regionali. Nel caso il referendum fosse richiesto, poi, se ne andrebbero almeno altri due mesi per le procedure connesse. E, partendo dal 9 settembre, saremmo già dalle parti di febbraio 2020. Non solo: anche se la riforma costituzionale uscisse confermata dal referendum, dovrebbero passare altri due mesi. È la stessa legge che taglia i parlamentari, infatti, a stabilire la sua applicazione «non prima che siano decorsi sessanta giorni» dall’entrata in vigore. Anche perché, nel frattempo, bisognerebbe ridisegnare i collegi elettorali, in quanto quelli attuali non sarebbero più adeguati al numero ridotto di senatori e deputati da eleggere. A questo punto, a conti fatti, ci si troverebbe più o meno nella primavera del prossimo anno.

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