Intervista. Prodi:«In Ucraina la pace solo con intesa Usa-Cina»
Romano Prodi, ex capo del governo e già presidente della Commissione Europea
Professor Romano Prodi, stiamo ai calci di rigore per questa maggioranza o ancora ai supplementari?
Guardo con un certo distacco a queste fibrillazioni che durano d’altronde già da settimane – risponde l’ex premier e fondatore dell’Ulivo –. Ho sempre ritenuto che si arrivasse alla regolare fine della legislatura e ritengo ancora che sia un interesse comune. Salvo però "incidenti", che in politica possono sempre capitare: si fanno errori che possono portare a un suicidio politico. Con me, a esempio, Bertinotti fece un errore.
Quale giudizio dà delle osservazioni del M5s di Conte, condensate nei 9 punti del documento dato a Draghi?
Non ho ancora capito se quella del M5s sia tattica o strategia. Marcare differenze rispetto alla linea del governo è un conto, procedere a una rottura vuol dire però mandare a un elettorato, già sbandato per la situazione globale che stiamo vivendo, un messaggio che disorienta ancora di più gli elettori stessi.
Anche quelli 5 stelle?
Mi pare che gli elettori del M5s non vedano più il Movimento come lo strumento del cambiamento. Senza contare che, dopo la scissione, le stelle non sono più 5, ma se ne contano almeno 10…
Vede margini per un "ripensamento" dei pentastellati?
Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da polemiche e contrasti personali fra i leader politici più che da analisi nel merito dei temi. Diventa difficile fare previsioni.
Per Draghi è difficile guidare un governo di larghe intese con spinte simili?
Lo dice a me? Io contavo su una maggioranza meno ampia, eppure ho avuto le mie belle difficoltà. È un’arte complicata che si impara adagio adagio. Il problema è anche che, quando cominciano le divisioni, diventa difficile continuare a tenere tutti dentro e a costruire. Le divaricazioni oggi ci sono in quasi tutti i partiti, anche dentro Lega e Forza Italia. E tutto questo porta anche a un possibile, ulteriore aumento dell’astensione nelle urne. Per paradosso il Pd, che è sempre stato un simbolo di lotte e di divisioni, è oggi quello più granitico.
Il fenomeno astensione la preoccupa?
Molto. Proprio per questo penso che ci siano grandi spazi per chi saprà dialogare con gli elettori, perché oggi non c’è dialogo fra governanti e governati. Ci rendiamo conto che si è stati capaci di fare un referendum sul sistema elettivo dei membri del Csm, non certo un tema di cui si parla a tavola? Non si può replicare il modello partecipativo dell’Ulivo, era un’epoca diversa, ma l’obiettivo deve essere lo stesso. Il Rosatellum è il peggior sistema elettorale possibile, almeno cerchiamo di riavvicinare i cittadini.
L’ha colpita Berlusconi che chiede una verifica?
Appunto. È un’altra conferma che siamo in momenti di assoluta incertezza. Dove l’improbabile diventa possibile.
Hanno fatto discutere le sue frasi sul campo largo che, secondo alcuni, lei avrebbe dato per "sepolto". Qual è la giusta interpretazione?
Si tratta di un gioco che la destra ama fare da sempre, ma restano delle interpretazioni interessate che puntano a seminare fra me ed Enrico Letta una zizzania che non esiste. Io ho detto semplicemente che gli ultimi avvenimenti hanno rimescolato tutto e che occorre ridisegnare cornice e contenuti delle alleanze. Il campo "senza confini" di cui ho parlato non è altro che il campo largo di Letta alla luce dei nuovi fatti.
Ma si sente ancora una "riserva della Repubblica"?
Ma neanche per sogno. Io ho finito l’impegno politico nel 2008 e dopo non ho mai fatto passi avanti per avviarne uno nuovo. Ho sempre dato, sì, la mia disponibilità a servire il Paese se necessario, mai è stata accolta. Quindi, un impegno non lo valuto e non lo ritengo possibile.
Nei momenti di svolta torna spesso d’attualità il taglio del costo del lavoro.
Le ricordo però che il primo forte taglio l’ho fatto io. Prima, avevamo un peso delle tasse sui salari superiore alla media europea, ora invece siamo già al livello medio. Dato il livello miserevole delle retribuzioni di oggi, ogni taglio è benvenuto. Si tenga presente però che l’esigenza non è uguale per tutti e che bisogna occuparsi anche di chi non ha un contratto regolare.
Per farlo servono però tanti soldi. Serve uno scostamento del bilancio, in deficit?
Io ho sempre dato grande attenzione al debito pubblico, oggi esso è ancora alto e non possiamo dimenticare che questo ci mette sempre a rischio nei mercati, ancor più se salgono molto i tassi d’interesse. Eviterei, quindi, uno scostamento.
Veniamo all’Ucraina. Come vede la situazione dopo quasi 5 mesi di guerra?
Estremamente rischiosa. La guerra sta durando tanto, troppo. E ora, sul fronte energetico, Putin sta giocando come il gatto col topo con i Paesi europei, con un’interruzione del gas addebitata a motivi tecnici, ma che arriva proprio quando si tenta di aumentare gli stoccaggi.
E il governo si sta muovendo bene su questo fronte?
Vedo molto ottimismo da parte del governo, spero che sia motivato. Riterrei comunque utile preparare un piano, non obbligatorio, di consigli ai cittadini su come risparmiare energia: una forma di "persuasione amicale".
C’è attesa per l’annunciata telefonata fra i presidenti di Usa e Cina, Biden e Xi Jinping.
È difficile che si arrivi a quella pace giustamente invocata da papa Francesco se non c’è un accordo fra questi due grandi Paesi. Si può far poco senza di loro. Per ora non vedo però passi avanti.
Ci sarebbe l’Europa, no?
È stata una bella immagine vedere Draghi, Scholz e Macron sul treno per Kiev, però in generale la voce dell’Europa è ancora troppo flebile. C’è stato il necessario e giusto fronte comune nello schierarsi militarmente a sostegno dell’Ucraina, ma la stessa unione non c’è sulle sanzioni, sulla politica energetica. E quando non si è uniti sulle politiche complementari, diventa difficile ritagliarsi quel ruolo di pacificatore che per la Ue dovrebbe essere proprio.
È diventata più importante la Turchia di Erdogan...
Chi ha comprato gli aerei da combattimento dagli Usa e i missili per abbatterli dalla Russia, può fare benissimo da pacificatore. Ma solo se le due potenze Usa e Cina daranno un via libera che preveda uno o più Paesi, oppure istituzioni, come mediatori.
Ma come si può arrivare a una pace?
Ci sarebbe bisogno di una conferenza internazionale promossa e presieduta dall’Onu, un qualcosa tipo Yalta, ma non vedo ancora un cammino e una spinta verso di essa. Oggi sembra un pio desiderio, del tutto irrealizzabile. Su questo dovrebbe spingere l’Ue. Anche per dare risposte alla vera sofferenza dell’Africa, dove in 16 stati si stanno esaurendo le scorte di cereali, senza che scatti quella mobilitazione mondiale che ci vorrebbe.
In sintesi resta pessimista, professore?
Osservo che c’è nel mondo un crescente desiderio di pace. Una pace indispensabile prima che si manifestino due ulteriori effetti della guerra: che il mondo si divida in due - Paesi capitalistici contro tutti gli altri - e che il riarmo tedesco, senza una simultanea partenza di una difesa comune europea, alteri gli equilibri nella Ue facendo prevalere anche sugli altri fronti il peso della Germania rispetto all’equilibrio fra i diversi Paesi. Non ho alcun dubbio sulla maturità della democrazia tedesca, ma quando si creano troppe disparità diventa più difficile fare una comune politica europea.