Attualità

INTERVISTA A BAGNASCO. «Con chi è nel bisogno. Come sempre»

Francesco Riccardi martedì 30 dicembre 2008
«Sì, la Chiesa italiana è preoc­cupata per il numero cre­scente di famiglie in diffi­coltà, per i lavoratori che stanno per­dendo il loro posto, per quelli già pre­cari il cui orizzonte occupazionale sembra chiudersi. E ancora per le tan­te persone anziane che faticano sem­pre più a vivere dignitosamente. Co­me potremmo non essere preoccupati per questa crisi? Come sempre la vi­viamo, la condividiamo con il popolo e, certo, intensificheremo ulterior­mente le nostre iniziative per contra­starla. Anzitutto, stando accanto ai più deboli dei quali ben conosciamo i bi­sogni ». L’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, affronta il tema della chiusura di que­sto 2008 caratterizzato da un quadro di incertezza senza precedenti. La cri­si economica, in particolare, sembra destinata a minare alla base non solo il benessere della nostra società, ma la sicurezza del lavoro e quindi la possi­bilità stessa di sostenere la propria fa­miglia, realizzare progetti di vita, con riflessi negativi sul complesso della società. Eminenza, già nella sua prima prolu­sione nel 2007, lei sottolineò la situa­zione di difficoltà che un numero cre­scente di famiglie si trovava ad af­frontare. Oggi i segnali che vengono dalle parrocchie indicano un peggio­ramento? La situazione si è decisamente aggra­vata e non solo nelle ultime settima­ne. Si è allargata la forbice tra ricchi e poveri, in particolare si è andata im­poverendo la fascia di ceto medio. Le parrocchie, attraverso i centri di a­scolto, le strutture della Caritas e del­la San Vincenzo hanno già dovuto in­crementare sia i volumi di aiuti ali­mentari, sia i contributi per far fronte alle spese per le utenze e per l’affitto di un numero crescente di famiglie ca­dute in povertà. Segno di un impove­rimento progressivo, anche antece­dente alla recessione, al quale cerca di rispondere la rete fittissima di carità e pronto intervento stesa dalle parroc­chie nel corso degli anni. Possiamo dire, dunque, che la Chie­sa è già in campo su questo fronte. Cos’altro può fare?Bisogna intensificare ancora presen­za e interventi, mobilitando al massi­mo le risorse di cui disponiamo – an­che dell’8 per mille – secondo la tra­dizione viva della Chiesa, secondo la sua missione. D’altro canto, la Chiesa conosce da vicino i problemi veri del­la gente proprio perché è presente in mezzo al popolo con i parroci, i reli­giosi e le religiose, gli operatori pasto­rali. Una conoscenza non solo 'razio­nale', ma esistenziale perché la Chie­sa è chiamata a condividere queste si­tuazioni di bisogno giorno per giorno, a viverle essa stessa. Il giorno di Natale, l’Arcivescovo di Milano ha annunciato la creazione di un fondo di solidarietà attiva. La Dio­cesi di Prato e altri territori hanno in corso progetti più o meno analoghi. Come avete accolto queste iniziative? Molto bene. Ogni forma d’intervento che mira a sollevare le persone dalla condizione di povertà è importante, bene esprime proprio quell’attenzio­ne di cui dicevamo pri­ma. Ma vorrei aggiunge­re che tutte le diocesi ita­liane hanno messo in at­to nel corso degli anni i­niziative di sostegno mi­rate in particolare alla fa­miglia. Faccio due esem­pi che ho sotto gli occhi qui a Genova. Il Centro contro l’usura, che interviene a favo­re di quanti per difficoltà economiche finiscono nella morsa degli usurai. E il Centro emergenza famiglie che of­fre contributi immediati per i nuclei in difficoltà, accompagnandoli però ad azioni volte a rimuovere le cause che hanno prodotto la situazione di e­mergenza temporanea: perdita del la­voro, malattia, separazione, eccetera. A questo proposito, il ministro Bru­netta ha sostenuto che «la Chiesa do­vrebbe fare di più, che oltre a tante at­tività sociali meritorie, svolge altre volte funzioni di immagine che poco si raccordano con le funzioni sociali». Cosa ne pensa? Sinceramente non so a cosa si riferi­sca il ministro quando parla di ragio­ni di immagine. Sono duemila anni che la Chiesa interviene a favore dei più poveri e dei più deboli, o meglio ancora: vive loro accanto. E ciò pro­segue nei secoli perché è la sua mis­sione più originaria: annunciare il Vangelo e promuovere carità e solida­rietà così come Gesù ci ha insegnato. Fra le obiezioni del ministro, spicca quella che in fondo la Chiesa si limi­terebbe a mobilitare fondi che le ven­gono dallo Stato attraverso l’8 per mil­le. Ma è davvero così? Non è una vi­sione piuttosto distorta della funzio­ne sussidiaria di questo strumento? Non è certo una semplice partita di gi­ro. Una parte elevata dei fondi dell’8 per mille è già ora destinata a opere di carità in Italia e nei Paesi in via di svi­luppo, come è noto e come viene pun­tualmente pubblicato. Ma accanto a questi fondi – per i quali siamo profon­damente grati al popolo italiano – viene mobilita­ta un’altra massa assai considerevole di denaro che arriva dalle raccolte nelle singole parrocchie, dall’impegno di enti e as­sociazioni cattoliche e, non ultimo, dai contri­buti di tanti laici che ri­pongono la loro fiducia nella traspa­renza e nell’efficacia delle opere della Chiesa. Emerge un quadro da chiarire: quali sono i diversi compiti della politica e della società, da un lato, della Chiesa dall’altro? Compito della società e della politica è promuovere la giustizia. E dunque cercare di assicurare a tutti quanto­meno i diritti fondamentali: alla vita, al lavoro, alla casa, a un sostenta­mento dignitoso della propria fami­glia. La missione primaria della Chie­sa è invece l’annuncio del Vangelo di Cristo e quindi la formazione delle co­scienze. Il suo compito non sarebbe però completo se non aggiungesse al­l’annuncio la dimensione della carità, della vicinanza e dunque della pro­mozione umana sul piano sociale e su quello culturale. Perciò la Chiesa si è trovata ad assolvere spesso una fun­zione di supplenza rispetto allo Stato nel soccorrere le persone. Ma la Chie­sa non deve e non vuole surrogare lo Stato, offre piuttosto la sua collabora­zione. Non di meno, la Chiesa è anche chiamata alla profezia e ad operare per un’elevazione culturale del popo­lo secondo un’antropologia che trova le sue radici più profonde nel Vange­lo e, tra l’altro, è alla base della civiltà europea. All’Angelus di domenica scorsa, fra gli altri temi, il Papa ha sottolineato la situazione dei lavoratori precari, chiedendo in particolare «condizioni di lavoro dignitose per tutti». Si sta af­frontando in maniera sufficiente que­sto nodo o serve un di più di proget­tazione, di impegno? C’è una rifles­sione che deve compiere anche il mondo cattolico per caratterizzare meglio la sua presenza nel lavoro e nell’impresa?La Chiesa non ha ricette tecniche, ma il Papa ha bene evidenziato un prin­cipio, quella della dignità della perso­na, che deve rimanere centrale. Nel­l’epoca moderna, poi, lo sforzo della Chiesa è stato proprio quello di ope­rare alla radice della povertà, indi­cando criteri di intervento e solleci­tando tutti alla cooperazione. Talvol­ta si è adoperata anche per creare oc­casioni di lavoro. Penso alla promo­zione delle cooperative e di piccole imprese. Penso al progetto Policoro della Chiesa italiana, come a tante al­tre iniziative delle associazioni catto­liche. Magari sono piccoli numeri nel complesso dell’occupazione, ma rap­presentano risposte concrete e linee di indirizzo, una ricchezza offerta a tut­to il Paese. Questa fine d’anno è segnata anche da un altro evento emblematico: la precarietà della vita di Eluana Engla­ro, davvero appesa a un filo. Al di là delle ragioni per le quali l’ipotesi di sospendere l’alimentazione andreb­be rigettata, ponendo avanti la carità, quale argomento utilizzerebbe per scongiurare a non togliere la vita a E­luana? Indico l’esempio delle suore: la rispo­sta di amore con cui hanno accudito Eluana in tutti questi anni e ancora si offrono di fare. Questo sarebbe il com­portamento che una società civile do­vrebbe tenere. Qui non c’è accani­mento terapeutico o cure sanitarie particolari, c’è l’accogliere una perso­na nel suo bisogno e accudirla. Con premura di sorelle. Con amore.