Comunità montane e piccoli comuni sul piede di guerra contro il disegno di legge del ministro della Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, che, attraverso la cosiddetta “Carta delle autonomie”, punta a un drastico ridimensionamento di questi enti già a partire dal prossimo anno. Con l’obiettivo di «razionalizzarne le modalità di esercizio, favorirne l’efficienza e l’efficacia e di ridurne i costi», il ddl prevede, infatti, che «a decorrere dal 2010», le Regioni possano decidere la soppressione delle Comunità montane, trasferendo le relative funzioni alle Unioni di Comuni. Più che una possibilità pare però quasi un obbligo, dato che, sempre il ddl Calderoli prevede che dall’entrata in vigore della Finanziaria 2010, «lo Stato cessa di concorrere al finanziamento delle Comunità montane». In pratica, si passerà dai 90 milioni di euro “girati” nel 2009 dal Ministero dell’Interno, ai 40 milioni del 2010 per arrivare ai 10 milioni di euro dell’anno successivo.Il progetto non piace però all’Unione delle Comunità montane (Uncem) e a Legautonomie, che per oggi hanno promosso la prima giornata di «un’ampia e diffusa mobilitazione», con un convegno alla Camera.«Il provvedimento va assolutamente rivisto – spiega il presidente di Legautonomie Oriano Giovannelli – dove interviene sui piccoli comuni, delineando un sistema di governo improvvisato e farraginoso e sulle Comunità montane, già oggetto di un’operazione di riordino su base regionale. Per un verso, infatti, promuove le Unioni comunali, per un altro verso ne distrugge la forma più consolidata, specifica e, nonostante pesanti campagne stampa, più utile».Appena un anno fa, infatti, le quindici Regioni a statuto ordinario, in forza di un decreto di riordino del novembre 2008, eliminarono per oltre un terzo le Comunità montane allora esistenti, che passarono da 300 a 185. Le Unioni di Comuni, attualmente sono invece 288 ma, mentre le Comunità associano 4.201 comuni le Unioni si fermano a 1.344. Inoltre, le Comunità montane servono 10 milioni di italiani contro i 4,6 delle Unioni ma hanno lo stesso numero medio di dipendenti, anche se, stando a dati Istat, le prime investono dieci volte di più delle seconde (circa il 40% delle spese delle Comunità montane è in conto capitale contro il 32% dei Comuni e il 33% delle Province). Va da sé che la spesa corrente incide sui bilanci delle Unioni molto di più: 284 milioni su 377 (dati 2006). Diversa la situazione nelle comunità montane, dove spesa corrente e spesa in conto capitale, in pratica, si equivalgono (975 milioni contro 838, dato 2006).«Non ha senso cancellare strutture preesistenti come le Comunità montane – spiega un rapporto che sarà diffuso al convegno di oggi – che sono state oggetto di un recente e opportuno processo di riordino territoriale, hanno assetti funzionali, modelli organizzativi, profili associativi e strumenti programmatori evoluti e largamente sperimentati rispetto alle Unioni di Comuni, e che muovono sul territorio risorse per oltre 2 miliardi di euro - provenienti soprattutto dalle Regioni e poi da Comuni membri, Province, fondi europei - sui quali i “costi della politica” incidono poco più dell’1%».La contrarietà di Uncem e Legautonomie al progetto di riordino delle amministrazioni locali portato avanti dal ministro Calderoli, risiede anche nel fatto che, a loro giudizio, penalizzerebbe fortemente uno «strumento di sviluppo per le zone montane e marginali». Una porzione di territorio che, stando all’ultima rilevazione Istat (dicembre 2006), è pari al 54,33% dell’intero territorio italiano, dove risiedono più di 10 milioni di persone (il 18,28% della popolazione totale). «Se l’obiettivo è di perseguire un riordino delle funzioni pubbliche che renda effettivo e responsabile l’esercizio di talune competenze – concludono i promotori del convegno di oggi a Montecitorio, prima giornata di mobilitazione contro le «logiche prevaricatrici delle prerogative degli enti locali» – bisogna innanzi tutto preservare i principi e i luoghi della rappresentanza e della partecipazione democratica».