Istruzione. Competenze “non cognitive” per contrastare la dispersione scolastica
Il pedagogista Giorgio Chiosso
È proprio in tempi difficili, come quelli che stiamo attraversando, che è necessario attingere a risorse come la grinta, la resilienza, l’intelligenza sociale, l’auto-controllo, la perseveranza e altre qualità che aiutano le persone «ad affrontare le sfide del mondo moderno», come scrive l’Ocse nel rapporto sulle cosiddette “soft skills”. Le competenze trasversali, che sono il cuore della legge “Introduzione dello sviluppo delle competenze non cognitive nei percorsi delle istituzioni scolastiche”, approvata nei giorni scorsi dalla Camera all’unanimità e ora al vaglio del Senato. Firmato da parlamentari di tutti i partiti, il disegno di legge prevede che le competenze non cognitive entrino nel mondo della scuola, sia statale che paritaria, di ogni ordine e grado, a partire dal prossimo anno scolastico e per un triennio di «sperimentazione nazionale». Al termine il ministero dell’Istruzione presenterà una relazione al Parlamento. Per finanziare la sperimentazione, compresa la formazione degli insegnanti, sono stati stanziati 350mila euro all’anno.
«In tutto il mondo, l’attenzione alle competenze non cognitive porta alla diminuzione degli abbandoni scolastici, promuovendo l’autostima e la motivazione ad apprendere specialmente nei ragazzi poco brillanti o reduci da precedenti fallimenti». Anche l’Italia, seppur in ritardo di anni, si muove nella direzione indicata dal professore emerito di Pedagogia e Storia della pedagogia dell’Università di Torino, Giorgio Chiosso. E lo fa con la legge approvata all’unanimità alla Camera nei giorni scorsi e ora al vaglio del Senato. Una scelta che, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe contribuire a combattere la piaga dell’abbandono scolastico, ormai arrivato al 13,5% rispetto a una media Europea del 10,3%, ma con punte del 33% tra i giovani immigrati.
Professore, che cosa sono e a cosa servono le competenze non cognitive?
Linda Darling Hammond, una delle più apprezzate studiose americane di questioni educative, già docente alla Stanford University, ha scritto che la sopravvivenza della specie umana dipenderà in parti almeno uguali dalle nostre conoscenze e competenze tecniche e dalla coltivazione di quelle disposizioni e capacità personali come risolvere contrasti, collaborare con gli altri, comunicare in forma empatica, resistere allo stress generato da vari fattori secondo le età (studio, lavoro), disporre di una grande apertura mentale e di un sano senso critico. È ormai ampiamente acquisito che dalla coltivazione educativa di queste non cognitive skills (secondo altri socio emotional skills) dipendono non solo il successo lavorativo in età adulta, ma anche e soprattutto la conquista dell’equilibrio e della maturità della persona.
E migliorano anche i risultati scolastici?
Qualsiasi insegnante di buon senso sa bene che i risultati scolastici migliori sono raggiunti da quegli allievi che oltre alle buone doti intellettive sanno studiare con costanza, interesse, iniziativa personale e capacità di confronto con i compagni e i docenti. Questa intuizione empirica è oggi confermata e rafforzata da una molteplicità di studi e ricerche impegnate, d’un lato a valorizzare le doti delle persone e, dall’altro, ad attrezzarle per affrontare la realtà del futuro segnata dai cambiamenti tecnologici e dalle trasformazioni del mondo del lavoro.
Perché le competenze non cognitive vanno insegnate a scuola?
Le non cognitive skills non sono predeterminate, ma sono largamente flessibili e influenzabili dai comportamenti educativi degli adulti, dai genitori, dalla vita scolastica e anche dalle relazioni informali “alla pari”. Se lasciate a sé stesse e non adeguatamente coltivate queste disposizioni o non si sviluppano - con la conseguenza di creare persone infelici e insoddisfatte per la loro, ad esempio, timidezza, incapacità di relazionarsi con gli altri, ecc. - oppure si sviluppano in forme distorte come accade nei casi di persone aggressive, intolleranti, asociali. Molti casi di bullismo giovanile, per citare un solo esempio purtroppo sempre più frequente, dipendono proprio dalla inadeguata cura educativa di alcuni aspetti del carattere. Le potenziali buone risorse emotive che ciascuno di noi dispone in mancanza di qualcuno che le segue e le corregga si disperdono e purtroppo degenerano. È perciò molto importante l’azione congiunta tra genitori e insegnanti.
Come si integrano con le materie tradizionali?
Nulla di più sbagliato pensare che si debba istituire l’ora destinata alle non cognitive skills integrata nell’orario scolastico a fianco delle materie tradizionali. Queste capacità crescono e maturano in un contesto di adulti maturi e capaci di trasferire le buone qualità umane attraverso comportamenti coerenti. Le ricerche condotte su come la scuola possa essere a tal riguardo un fattore decisivo convergono sulla necessità di un clima scolastico che poggi su elementi e valori positivi come il rispetto, la responsabilità, l’equità, l’onestà, la coerenza e trasmetta in generale un senso di finalità condivise per cui vale la pena frequentare la scuola. In tale contesto sono importanti il linguaggio, la presenza di sistemi di supporto per gestire, crisi e conflitti, le coerenza delle dichiarazioni ufficiali (come, per esempio il Piano dell’Offerta Formativa) con la realtà quotidiana.
In che modo prevengono la dispersione scolastica?
La grande diffusione delle tecnologie e del digitale sta esponendo sempre più i nostri giovani ad un inaridimento delle solite abilità sociali. Si aggiunge a ciò la crisi pandemica che ha accentuato situazioni di disagio preesistenti, aumentando criticità relazionali, disuguaglianze sociali e rendendo gli allievi molto più vulnerabili. Queste situazioni, come è noto, stanno accrescendo la dispersione scolastica, fenomeno che va inteso a largo spettro: non solo con il vero e proprio abbandono della frequenza, ma anche il basso rendimento e la frequenza passiva (l’alunno che va a scuola, ma è come fosse assente). D’un lato la valorizzazione personalizzata delle potenzialità non cognitive dell’alunno “a rischio” può costituire un punto di appoggio per il suo recupero, dall’altro il clima scolastico che sa dimostrare l’utilità della scuola rappresenta un incentivo per non interrompere il corso scolastico. Ma va anche detto che il fenomeno della dispersione non può essere sconfitto o ridimensionato soltanto con la strategia della valorizzazione delle competenze non cognitive e abbisogna di altri interventi (anche di natura sociale) a sostegno delle scuole più colpite.
Alcuni vedono il rischio di un’omologazione degli studenti stile “Grande Fratello”: è un timore fondato?
La tesi di quanti temono che la coltivazione delle competenze non cognitive rischi di portare una generale omologazione funzionale agli interessi del mondo economico e all’indebolimento del senso critico personale è esagerata. Due sole osservazioni. La scelta a favore delle non cognitive skills va proprio in direzione opposta: vuole scongiurare una scuola conformistica e deterministica qualche potrebbe essere quella impostata su test, prove standardizzate e iniziative analoghe “misurabili”. La storia scolastica degli ultimi decenni è andata in questo senso dietro la spinta delle rilevazioni dell’Ocse e delle raccomandazioni europee. Esistono invece aspetti della personalità umana altrettanti educabili e importanti che sfuggono a questa impostazione e che occorre rivalorizzare. In secondo luogo le non cognitive skills ripropongono un tema che spesso è sfuggito ai tecnocrati del nostro tempo e cioè l’unità della persona umana fatta di intelligenza, capacità volitiva, sentimento. Per quel poco che so del “Grande Fratello” mi pare che vada in una direzione esattamente opposta in quanto luogo ed occasione delle più scontate banalità del nostro tempo.