Migranti. La commissaria Mijatovic richiama l'Italia: «Basta respingimenti in Libia»
La Commissaria ai diritti umani del Consiglio d'Europa
Nel centro di prima accoglienza di Lampedusa, "il sovraffollamento rimane un problema e ciò crea una seria sfida, rispetto alla fornitura di condizioni di accoglienza adeguate. L'aspetto positivo è che le autorità italiane ne sono consapevoli e stanno lavorando per affrontarla. Ho anche notato l'importante lavoro della Croce Rossa Italiana, che ha migliorato la situazione nel centro". Da Strasburgo, in questo colloquio con Avvenire, la Commissaria per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa Dunja Mijatović traccia un primo bilancio della visita di cinque giorni in Italia, avvenuta la scorsa settimana senza alcun clamore mediatico e incentrata sui diritti umani di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, ma anche sui diritti delle donne, sulla parità di genere e sul tema della libertà di stampa. La commissaria è stata a Lampedusa e poi a Roma.
Nel corso della visita, ha incontrato il Ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, il consigliere diplomatico della premier Giorgia Meloni, l'ambasciatore Francesco Maria Talò, ma anche il segretario generale del Ministero della Salute, Giovanni Leonardi, il vicecapo della Polizia Vittorio Rizzi, il direttore dell'Ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali (Unar), Mattia Peradotto, e il sindaco di Lampedusa e Linosa, Filippo Mannino, oltre ai diversi esponenti della società civile. E al governo italiano, manda un messaggio chiaro: “L'Italia deve smetterla di mettere in pericolo la vita e la sicurezza di rifugiati, richiedenti asilo e migranti facilitandone l'intercettazione e il ritorno in Libia, dove subiscono diffuse e gravi violazioni di diritti umani.
Ogni attività di cooperazione con Paesi terzi, compresa la Tunisia, deve essere subordinata alla salvaguardia dei diritti umani. In assenza di tale salvaguardia, tali attività finiscono per condurre solo a maggiori sofferenze umane”. Inoltre, prosegue la commissaria, "è responsabilità dell'Italia e della nostra comune Europa fermare il corso tragedia umana nel Mediterraneo. È giunto il momento di intraprendere un'azione collettiva per porre fine alla perdita di vite umane in mare, anche attraverso la condivisione delle responsabilità per un'adeguata capacità di soccorso" e il trasferimento in sicurezza.
Ed è "fondamentale che le Ong possano continuare a svolgere il proprio lavoro lavoro salvavita. La criminalizzazione delle loro attività va contro gli obblighi dell'Italia ai sensi della legge internazionale". Sull'isoletta siciliana, meta di sbarchi pressoché quotidiani, la commissaria ha preso atto degli sforzi di autorità locali, organizzazioni internazionali e società civile per far fronte alla difficile situazione. “È necessaria una pianificazione a lungo termine a livello nazionale per garantire la sostenibilità dell'accoglienza di rifugiati, richiedenti asilo e migranti in condizioni dignitose in tutta Italia - considera -. Un supporto adeguato dovrebbe essere fornito alle autorità e agli abitanti di Lampedusa, che continuano a prodigarsi offrendo generosamente assistenza a chi arriva sull'isola, nonostante tutte le difficoltà”.
Lei ha avuto un incontro col ministro dell'Interno Piantedosi. Cosa gli ha detto?
Alla luce delle recenti scoperte della missione d'inchiesta indipendente dell'Onu sulla Libia, che ha fornito prove della commissione di crimini contro l'umanità contro i migranti, ho esortato le autorità italiane a sospendere la cooperazione con il governo libico sulle intercettazioni di barconi in mare. Inoltre, ho fatto presente con rammarico che il decreto legge 1/2023 sulla gestione dei flussi migratori è stato convertito in legge a marzo e che le sue disposizioni, abbinate alla politica di assegnazione di porti lontani per lo sbarco, continuano ad essere applicate. Ancora, ho ribadito l'invito a sospendere qualsiasi politica o pratica che ostacoli il lavoro salvavita delle Ong in mare.
Quale idea si è fatta della condizione di migranti e richiedenti asilo in Italia? La ritiene peggiorata, rispetto al passato?
In primo luogo, l'assenza di un'operazione europea di ricerca e soccorso aumenta i pericoli che essi corrono per raggiungere un luogo sicuro. Poi, coloro che arrivano, spesso affrontano condizioni di accoglienza scadenti e un accesso inadeguato ad alcuni servizi essenziali, come l'assistenza sanitaria. Inoltre, le politiche di integrazione devono essere migliorate. Questa è la mia prima visita a pieno titolo in Italia, quindi non posso fare paragoni con situazioni precedenti: penso che la situazione attuale sia anche il risultato di politiche inefficaci del passato. C'è la necessità di risolvere problemi di lunga data e persistenti. E ciò dovrebbe essere fatto passando da risposte emergenziali alla pianificazione a lungo termine e a misure più strutturali. In questo contesto, come ho spesso ripetuto, il lavoro della società civile è cruciale e non dovrebbe essere ostacolato. Le autorità dovrebbero cooperare con loro per trovare e attuare soluzioni in grado di migliorare il rispetto dei diritti umani dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Ciò si tradurrebbe in una politica di migrazione e integrazione meglio gestita.
Cosa ha chiesto ai rappresentanti del governo Meloni?
Due punti sono cruciali e li ribadisco anche qui. Il primo è che l'Italia ponga fine alla cooperazione con la Libia sulle questioni migratorie, a causa della gravissima situazione dei diritti umani in quel paese. Più in generale, qualsiasi cooperazione con Paesi terzi, compresa la Tunisia, dovrebbe contenere forti garanzie in materia di diritti umani. Il secondo punto riguarda l'atteggiamento. Le persone con responsabilità politiche dovrebbero dare l'esempio e rispettare le norme sui diritti umani, quando parlano al pubblico di argomenti relativi alla migrazione. Il modo in cui ritraggono migranti, richiedenti asilo e rifugiati ha un impatto sulla percezione della situazione da parte della società. Troppo spesso, le questioni migratorie vengono utilizzate come veicolo per ottenere vantaggi elettorali, è un modo sbagliato e pericoloso di affrontare la questione.
Cosa le hanno detto il ministro Piantedosi e gli altri esponenti istituzionali?
Hanno illustrato il lavoro che stanno facendo, sottolineando la necessità di una solidarietà a livello europeo. Sono d'accordo su questo punto: ho ripetuto spesso che l'Italia, come altri Paesi che accolgono migranti, ha bisogno di maggiore solidarietà. Non si tratta di una questione nazionale, ma europea. Naturalmente i singoli Stati hanno obblighi specifici e la dimensione europea non dovrebbe essere usata come pretesto per non rispettarli. Ma non si può negare che la solidarietà europea potrebbe essere migliorata per quanto riguarda l'accoglienza, l'integrazione, la ricerca e il salvataggio, nonché per le questioni relative al ricongiungimento familiare.
Di recente, il Parlamento italiano ha convertito un altro decreto, la cosiddetta "legge Cutro", che ha suscitato la preoccupazione dell'Acnur. Lei cosa pensa di queste nuove norme?
Anche io ho espresso preoccupazione per la riforma del sistema di protezione: la restrizione della protezione speciale influenzerà negativamente i diritti dei migranti e la loro possibilità di integrarsi nella società. Sono inoltre preoccupata per l'uso esteso delle procedure di frontiera e della detenzione amministrativa ai confini. Temo che queste misure incideranno negativamente sui diritti fondamentali di migranti e richiedenti asilo. Anche l'esclusione dei richiedenti asilo non vulnerabili dal sistema Isc (centri di seconda linea) e dall'accesso ad altri servizi di sostegno essenziali (ad esempio assistenza legale, assistenza psicologica, corsi di lingua) è motivo di preoccupazione. Infine, nessuna decisione di espulsione dovrebbe essere presa senza la possibilità per la persona di motivare contro di essa e senza una valutazione sostanziale della propria situazione individuale.
I tragici e agghiaccianti naufragi di Cutro e di Pylos, con centinaia di vittime, non dovrebbero imporre un nuovo approccio nel Mediterraneo?
Sa cosa credo? Molte di queste catastrofi avrebbero potuto essere evitate, se i Paesi europei non avessero deliberatamente ignorato i diritti umani delle persone in mare. Nonostante essi abbiano chiari obblighi di ricerca e soccorso, ai sensi del diritto marittimo e dei diritti umani, il diritto alla vita di coloro che sono in mare è spesso in pericolo perché le richieste di soccorso vengono ignorate, gli interventi sono ritardati, il coordinamento non è garantito e il lavoro delle Ong, che colmano il divario nella capacità di soccorso, è reso sempre più impossibile.
Per cinismo politico o per una visione distorta della realtà?
Ciò è chiaro che gli Stati europei, agendo individualmente o collettivamente - ad esempio nel contesto delle politiche dell'Unione europea - hanno inoltre progressivamente smantellato le salvaguardie per i diritti dei rifugiati e dei migranti, anche impedendo l'accesso all'asilo, effettuando e legalizzando respingimenti e facilitando le intercettazioni e i rimpatri che espongono le persone a gravi violazioni dei diritti umani.
Può fare un esempio?
Le continue notizie di intimidazioni e uso eccessivo della forza da parte delle guardie di controllo delle frontiere contro i migranti sono minimizzate o negate apertamente da molti Stati europei, per coprire spaventose violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.
Come se ne esce?
È imperativo invertire la rotta e assumersi la responsabilità di prevenire tragedie simili. Ciò può essere fatto attuando misure raccomandate da anni da organizzazioni internazionali, Ong ed esperti. Tre di esse mi sembrano cruciali: in primo luogo, gli Stati europei dovrebbero istituire un'operazione di ricerca e soccorso globale e ben finanziata nel Mediterraneo; in secondo, i Paesi dovrebbero affrontare la questione della mancanza di vie sicure e legali che portano rifugiati e migranti a intraprendere viaggi marittimi pericolosi e irregolari; in terzo luogo, e mi ripeto va occorre ribadirlo, i Paesi europei dovrebbero garantire che gli accordi di cooperazione con i Paesi terzi, compresi quelli in corso di stesura con la Tunisia, rispettino i diritti umani.
A Roma, lei ha visitato la Casa Internazionale delle Donne, dove ha avuto uno scambio di opinioni con le organizzazioni per i diritti delle donne e con altri rappresentanti della società civile. In una nazione con un alto numero dei femminicidi, cosa occorrerebbe fare?
Rilevo con profonda preoccupazione una grave carenza di strutture di accoglienza per le donne vittime di violenza di genere, in particolare in alcune regioni, e la scarsità di fondi. Sono necessari finanziamenti sufficienti e affidabili, insieme al rafforzamento e all'attuazione di misure per prevenire e combattere la violenza. Invece, rispetto ai recenti sviluppi riguardanti la registrazione e i certificati di nascita dei figli di coppie omosessuali, la mia convinzione è che - come per tutte le misure riguardanti minorenni -, l'interesse superiore del minore debba essere la considerazione preminente.
Sempre nella Capitale, lei ha incontrato il vicecapo della Polizia Vittorio Rizzi e ha reso omaggio - insieme al presidente di Ossigeno per l'informazione, Alberto Spampinato - al memoriale che ricorda 30 giornalisti italiani uccisi per le loro inchieste e altre 900 vittime di mafia.
Ho preso atto del lavoro positivo svolto dalle autorità italiane nel monitorare gli attacchi contro i giornalisti e nel garantirne la sicurezza. E riguardo al lavoro di Ossigeno per L'informazione, è un monitoraggio indipendente e puntuale, un modello da tenere in considerazione non solo in Italia, ma anche in altri Paesi europei. Nel vostro Paese, un punto da affrontare meglio è il problema della diffamazione, compito che spetta al legislatore, soprattutto dopo la sentenza della Corte costituzionale su quel tema.
Un problema non solo italiano, peraltro.
Purtroppo sì. In diversi Paesi europei, la libertà dei giornalisti è spesso ostacolata da cause per diffamazione, che a volte assumono la forma di cause vessatorie, indicate in inglese con l'acronimo Slapp (che sta per Strategic lawsuit against public participation, cioè cause giudiziarie strategiche per ostacolare la partecipazione pubblica, ndr). Tali azioni legali rappresentano una grave minaccia non solo per la libertà di stampa, ma anche per il diritto di acquisire informazioni per interesse pubblico e per il diritto di partecipare alla vita pubblica.
E come le si potrebbe contrastare?
È necessario che la legge protegga le persone che sono veramente ferite da articoli non corretti. Ma allo stesso tempo che non venga abusata come strumento per mettere a tacere i giornalisti o ostacolare il loro lavoro. Il modo migliore per affrontare questo problema è modificare la legislazione per depenalizzare completamente la diffamazione e prevedere solo sanzioni civili proporzionate. A mio parere, le legislazioni nazionali dovrebbero inoltre consentire il precoce rigetto delle Slapp, prevedere misure per punire gli abusi del sistema giudiziario e insieme garantire un sostegno pratico e l'assistenza legale gratuita a coloro che sono citati in giudizio.