Attualità

La storia. «Il pesce costava troppo. Così abbiamo fondato l'Anfn»

Andrea Bernardini sabato 31 agosto 2024

Quarantadue anni fa la ginecologa disse loro che, con buona probabilità, non avrebbero mai avuto un figlio. Mai una previsione si è rivelata tanto fallace: in 39 anni di matrimonio – festeggiati ad aprile – di figli ne hanno avuti non uno, ma sette, tra naturali, adottivi e in affidamento. Ne avevano cinque nel novembre del 2003 quando Mario Sberna, già dipendente della Curia bresciana ed ora in pensione incontrò Enrico Cinelli, altro papà di prole numerosa, di fronte al bancone del pesce in un supermarket cittadino. Il racconto di Mario: «Ero soprappensiero, con gli occhi persi negli occhi della povera e piccola triglia, in attesa che mia moglie Egle riempisse di cibo il carrello, quando venni letteralmente investito da Enrico, che di mestiere fa l’autista di bus: doveva parlarmi e quello gli era sembrato il modo e il luogo più opportuni».

E che aveva da dirle? «Quel pesce, mi disse, non l’avremmo mai comprato ai nostri figli: troppo caro mangiare pesce per le famiglie numerose. E perché i nostri carrelli si mangiavano, loro sì, tutto lo stipendio prima del 15 del mese, insieme a bollette, tasse, imposte, balzelli moltiplicati senza tener conto di quante bocche si sfamano con quell’unico stipendio. Ecco, una scarica di problemi che, ovviamente, conoscevo benissimo anch’io. Da lì la richiesta di rivederci presto per trovare una qualche soluzione: Davide contro Golia, insomma».

Da quell’incontro, l’idea di dar vita all’Associazione nazionale famiglie numerose, che oggi conta poco meno di 30mila associati. «Tutte le idee che hanno enormi conseguenze sono sempre idee semplici. E quelle idee nascevano da domande che qualunque amministratore pubblico avrebbe dovuto porsi prima di noi da molto, molto tempo: perché, per esempio, noi che siamo in sette con un solo contatore, dobbiamo pagare più di sette persone single che hanno sette contatori e dunque non superano mai la soglia della tariffa sociale? E perché per iscrivere i nostri figli a scuola, per comprare i libri, la mensa, il biglietto dell’autobus o la tariffa sui rifiuti ogni singolo figlio paga per “uno”, mentre quando si compila l’Isee, quello stesso figlio vale meno di un terzo? Così facendo quando pago, pago per uno mentre quando ricevo, ricevo per un terzo. E perché l’acqua al metro cubo per uso abitazione ha una tariffa sociale più alta della tariffa zootecnica? I vitelli possono bere a volontà, mentre ai nostri bimbi nemmeno l’acqua per lavarsi i denti riceve venia? E, soprattutto, perché quando diciamo queste cose, gli occhi di chi ci ascolta appaiono tanto simili a quelli della triglia nel banco pesce del supermercato vicino casa? Quando va bene. Perché quando va male, ci sentiamo dire che siamo degli incoscienti, che nessuno ci ha obbligato a fare tanti figli, che i nostri figli sono un peso per la società, che siamo già troppi in Italia. Dimenticando che solo grazie ai nostri figli questo Paese avrà un futuro. Perché senza figli, non c’è alcun futuro. Pensioni comprese».