Retroscena. Come Renzi con D'Alema, Conte ripete l'errore. E la verifica s'incarta
Ci sarebbe da rivisitare una canzone di fine anni Sessanta, "Bisogna saper perdere", celebre motivetto dei Rokes, per ribaltarlo, adattandolo al male endemico della politica attuale. Da quando con troppa enfasi si suole definire premier quello che tradizionalmente era solo un "primus inter pares" questi ripete sovente l’errore, imperdonabile nelle democrazie parlamentari, di non far uso abbastanza della magnanimità del vincitore nei confronti dell’ex "numero uno" scivolato in un ruolo di rincalzo. Nella vulgata della parabola renziana viene attribuito al leader di Italia Viva un errore fatale, nel non aver assecondato l’inconfessata ambizione del "Grande rivale", Massimo D’Alema, alla designazione alla Commissione Europea, preferendogli la fida ministra degli Esteri Federica Mogherini. Da quel momento fra i due è stato un crescendo di frecciate velenose e ritorsioni culminate con una scissione del Pd dopo un contributo non secondario venuto dagli ex Ds al fallimento del referendum renziano. Corsi e ricorsi storici: quando per Renzi è balenata la possibilità di uno sbocco internazionale per la sua vicenda politica, a coronamento del capolavoro dell’estate 2019, il varo del Conte 2, lui deve aver sperato che il suo successore non commettesse il suo stesso errore di scarsa magnanimità, che D’Alema (col quale Renzi ha fatto pace di recente) non aveva commesso con il suo predecessore Romano Prodi, indicandolo alla Commissione Ue. Non risulta che nel colloquio di metà dicembre al Quirinale Renzi abbia esplicitato a Sergio Mattarella la sua disponibilità per il ruolo di segretario generale della Nato di cui si è molto parlato. Anzi, a dirla tutta non risulta nemmeno che l'aspirazione sia stata mai ufficializzata dal diretto interessato. Ma anche D'Alema, quella volta, non ne aveva fatto richiesta a nessuno. Tuttavia questa possibilità, chiamiamola pure opportunità, è arrivata lo stesso alla cognizione del Quirinale, che non ha avuto certo nulla da eccepire, come sempre quando un italiano ha le carte in regola per assurgere a un incarico di prestigio internazionale.
Non si tratta, in ogni caso, di uno scenario per l’oggi: il posto si renderebbe vacante nel settembre 2022. Ed è qui che entra in ballo la verifica di governo. A un certo punto la quadratura del cerchio è parsa a portata di mano: un governo "politico" con l’ingresso di Renzi agli Esteri (o in subordine alla Difesa) avrebbe portato l’ex premier in un ruolo "preparatorio" per il successivo incarico Nato e a un salto di qualità "politico" dell’esecutivo, con l’ingresso per il Pd del numero due Andrea Orlando e una ricollocazione più che adeguata per Luigi Di Maio o Lorenzo Guerini. Sarebbe stata questa - o forse ancora è - la quadratura del cerchio, anche alla luce del ben noto rapporto personale che Renzi vanta con il presidente eletto degli Usa Joe Biden, che è stato certamente al centro del colloquio al Quirinale chiesto e ottenuto dal leader di Iv. Il fatto è che al netto delle spigolosità, le questioni poste da Renzi di una maggiore collegialità, di un ruolo più marcato della politica (Governo e Parlamento) rispetto ai tecnici, della caduta di distinguo nei confronti dell’Europa erano - e sono - tutte degne di essere prese in esame. Ma invece del venirsi incontro, fra Conte e Renzi è scattata la stessa incomunicabilità perniciosa che scattò fra quest’ultimo e D’Alema. Inutile dire che una soluzione politica "forte" sarebbe stata - e ancora potrebbe essere - "vidimata" dal Colle. Un assetto in grado di affrontare con maggiore speditezza e unità di intenti le sfide irripetibili che l’Italia ha di fronte. Conte ha evocato Aldo Moro che boccia gli ultimatum, ma lo statista Dc fu anche l’uomo delle trattative a oltranza, per il bene del Paese. Lo rimarca in un tweet un allievo di Moro come Pierluigi Castagnetti: «Un capo si fa carico, non sta inerte, non attende che le cose accadano, non delega la mediazione ai collaboratori, sia pur qualificati. Ne assume personalmente l’iniziativa e la responsabilità», sottolinea l’ex segretario del Ppi, che con un altro suo tweet intervenne in uno snodo cruciale, a fine agosto 2019, a spronare il Pd ad accettare la presidenza di Conte. Ma ora non esita a criticarlo, per questa trattativa politica lasciata scivolare in un crescendo di retroscena mai smentiti, eccessi verbali e minacce reciproche da cui ora è divenuto difficile indietreggiare.
Ora, lo scenario che il Quirinale vede pericolosamente concretizzarsi è il ritiro da parte di Italia Viva della sua delegazione e la conseguente prova di forza in Parlamento di Conte, forte del fatto che - al momento - alternative politiche non ve ne sono. Indisponibile Mario Draghi, si aprirebbe per l’attuale esecutivo una prospettiva di galleggiamento con l’entrata in ballo di "responsabili" e appoggi esterni, il contrario di quanto auspicabile nelle attese degli italiani. In questo senso va letto il richiamo di Mattarella contro «illusori vantaggi di parte», volto ad ammonire tanto Renzi quanto Conte (come le stesse opposizioni). Perché a rendersi protagonisti della precipitazione verso il voto anticipato non ci sarebbe da aspettarsi "premi" elettorali, per partiti vecchi e nuovi, in un quadro di sciagura delle sorti del Paese. Resta l’incognita circa il mandato di Mattarella che scade fra poco più di un anno, senza intenzioni di riproporsi, come ha chiarito nel messaggio. Ma c’è chi non esclude, se dovesse servire a rimettere in carreggiata il Paese in virtù di una intesa "larga", una possibile disponibilità dell’attuale inquilino del Colle a una brevissima riconferma. Più breve anche di quella che fu chiesta, contro il suo volere, a Giorgio Napolitano.