Attualità

Editoriale. Lo ius scholae, Forza Italia e perché non si può più tornare indietro

Eugenio Fatigante sabato 24 agosto 2024

Sullo ius scholae quello che sembrava un acquazzone estivo, non privo di un qualche aspetto surreale, destinato a esser spazzato via dai primi venti settembrini, potrebbe tramutarsi invece in un temporale. L’inasprirsi dei toni nella coalizione di centrodestra ha segnato uno spartiacque nel livello del dibattito innescato dalle aperture di Forza Italia e del suo leader, Antonio Tajani (accompagnate da quelle, più “tecniche”, del ministro Piantedosi), fra richiami al programma e primi avvertimenti sulla stabilità della maggioranza che potrebbe persino divenire a rischio. A questo punto, fare finta di nulla alla ripresa diventa più ostico per tutti, per quanto oltre ci si è spinti.

Sono i grandi temi, d’altronde, a marcare le differenze. Nel breve tragitto post Berlusconi, la parabola del partito da lui fondato è oscillata tra un futuro con poche speranze (quel che si temeva, per i più pessimisti) e un presente di rinascita, anche oltre le previsioni, come dimostrato dal voto europeo. Opinionisti si sono esercitati in analisi su quest’ultimo cambio di passo – anche sul tema delle carceri - parlando di una presunta “metamorfosi” di Forza Italia, alludendo anche alla volontà forzista di guardare così ai cattolici (si è anche nella settimana del Meeting di Rimini) e al voto centrista e citando le influenze degli “azionisti”, i figli del fu Cavaliere. Tutto ciò può essere, ma il cuore della questione resta in ogni caso il diritto alla cittadinanza e i segnali da dare alle nuove generazioni figlie di immigrati. Di certo Tajani si è speso con una tale ricchezza di argomentazioni da renderne difficile oggi l’archiviazione come “caso balneare” e nulla più.

Ha parlato di un «mondo che cambia, ha richiamato lo spirito popolare di FI, ha evocato la prospettiva europea, ha ricordato che la non presenza nei programmi (anche in trenta anni di quelli forzisti) non è ragione sufficiente per non farlo ora. A muovere il vicepremier, oltre ai valori personali, è certo anche l’esigenza di caratterizzare la sua formazione, per non farne una semplice replica dei partiti alleati già impegnati in una gara a destra; d’altronde lo stesso Berlusconi aveva sempre parlato in passato del centrodestra come di un «attacco a tre punte». Si può dire che è in ballo la dignità stessa del partito, perché la questione è di ben altro spessore rispetto al terzo mandato dei governatori, che la Lega tirò fuori nei mesi scorsi per poi rientrare nei ranghi dopo le obiezioni contrarie di FdI e FI. Qui si tratta di visione del mondo, di valutazione del significato dell’essere italiani, di analisi del costume, di risposte da dare ai bisogni di una fetta della società. Per tutte queste ragioni un segnale richiede di essere dato. Il tempo è poco: alla riapertura delle Camere a metà settembre, ci sarà solo un mese prima che il Parlamento sia assorbito dalla sessione di bilancio, che oscurerà quasi tutto fino a fine anno. Peraltro quel di cui si parla – almeno nel progetto forzista, basato su un ciclo di studi di 10 anni per la cittadinanza – riguarda una differenza in fondo minima, di 4 semestri, rispetto alla normativa attuale. E l’obiezione, da parte di chi è contrario, che i diritti dei minori stranieri che vivono in Italia sono garantiti lo stesso (a parte i viaggi all’estero) dalla legge attuale è semmai un’aggravante rispetto al non far nulla.

È un quadro che chiama in ballo anche la responsabilità della premier Meloni, che pure si era spesa in passato per una riforma della cittadinanza (e Fini prima di lei) e che darebbe un bell’esempio tornando a far suo il tema. Responsabilità in primo luogo sull’esigenza di creare una “camera di compensazione” nella coalizione, dove certe tematiche siano affrontate prima che deflagrino in pubblico. E poi sulla rotta da tenere dato che, se un ddl del genere fosse calendarizzato, una differenza nel voto potrebbe avere conseguenze difficili da prevedere. Questa vicenda riporta infine d’attualità un aspetto divampato nell’ultima campagna elettorale, e cioè la divaricazione tra una forza – FI – che si rifà al popolarismo europeo e altre due, calamitate invece da spinte sovraniste, che guardano con fastidio a certe dinamiche. Stare sempre con una gamba di qua e una di là, giustificandosi che un conto è l’Europa e altro è l’Italia, è stato finora, con disinvoltura anche premiata dagli elettori, un elemento fondante di Forza Italia. Ma fino a quando? Il tempo dirà se questa stagione è stata per Tajani solo un ballo di mezza estate o qualcosa di più strutturale.