Dopo il caso Suarez. La strada (lunga) per ottenere la cittadinanza in Italia
Una manifestazione a Roma nel luglio 2017
L’attuale legge per l’acquisizione della cittadinanza italiana è la n.91 che risale al 1992 e stabilisce che chi nasce in Italia da entrambi genitori stranieri debba attendere fino al compimento di 18 anni per poter avviare le pratiche di richiesta della cittadinanza e ha solamente un anno di tempo, al termine del quale dovrà costantemente rinnovare il permesso di soggiorno per non essere considerato irregolarmente nel nostro Paese.
Chi, invece è nato all'estero, ma cresce in Italia, è escluso anche da questa possibilità. Dovrà pertanto, al compimento della maggiore età, avviare lo stesso iter di “naturalizzazione” previsto per coloro che arrivano in Italia in età adulta: i requisiti sono altamente selettivi, come ad esempio la residenza ininterrotta e comprovata per almeno 10 anni consecutivi.
In aggiunta, le procedure per la concessione della cittadinanza sono decisamente lunghe: fino a quattro anni di attesa, secondo le recenti modifiche apportate dai cosiddetti Decreti sicurezza – e altamente discrezionali. Oltre al diritto di voto, chi è senza cittadinanza italiana ed europea è privato di un pieno accesso ai diritti e al welfare, è privato della possibilità di accedere in maniera eguale al mondo del lavoro e ai concorsi pubblici, è privato della stessa possibilità di partecipare, come i propri coetanei, a esperienze formative come per esempio l’Erasmus o i viaggi all’estero.
Per effetto dell'entrata in vigore dei Decreti sicurezza voluti dall'ex ministro Matteo Salvini, dunque, i tempi previsti per ricevere il "verdetto" dopo la richiesta di cittadinanza italiana sono stati allungati da 2 a 4 anni, per chi ne fa richiesta per matrimonio (come nel caso del calciatore Suarez, appunto) o residenza. Il criterio non si applica per i nati in Italia da genitori stranieri. Non solo, ma con i decreti Salvini (convertiti nella legge 132 del 2018) è stato introdotto anche l'esame di lingua B1 (prima non previsto) per chi chiede un passaporto italiano.
Questo ha creato ulteriori lungaggini burocratiche, soprattutto nel periodo dell'emergenza sanitaria legata al coronavirus. Le sessioni di esame, infatti, si sono bloccate nel periodo della quarantena. I posti sono diminuiti e chi ha già maturato i requisiti per accedervi non riesce a fare l'esame. "La più grossa difficoltà è reperire le sedi in cui gli studenti possano fare gli esami. Nei mesi del lockdown non sono stati fatti, neanche online, perché non tutti hanno gli strumenti digitali adatti né il collegamento a internet. Quindi i tempi di attesa oggi sono molto lunghi", spiega al Redattore sociale Paola Cattoretti, che da oltre 15 anni insegna Italiano per stranieri in una scuola di lingue a Busto Arsizio. Negli anni, anche come volontaria in un centro di ascolto Caritas si è occupata di aiutare, in particolare, le donne che venivano in Italia a lavorare come badanti. "Attualmente sto seguendo il caso di una signora da vent'anni in Italia, che deve appunto accedere all'esame B1 per poter continuare l'iter della richiesta di cittadinanza - spiega -. Lavora da anni qui e parla perfettamente la nostra lingua, per lei il test è superfluo ma per legge lo deve fare. Mi fa molto indignare che ci sia questa discriminazione palese: un personaggio pubblico noto può avere una corsia preferenziale, mentre ci sono cittadini che vivono sul nostro territorio, che devono attendere anni. Anche solo ottenere tutta la documentazione necessaria è un processo lungo, dal reperimento dei documenti originali alle traduzioni. Questo porta molte persone a rinunciare".
Anche la vicenda personale di Erandika Conthrath Arachchige è stata raccontata dal Redattore sociale ed è esemplificativa di una condizione discriminatoria che riguarda almeno un milione e mezzo di giovani in Italia.
Erandika è arrivata in Italia a sette mesi. La sua famiglia ha deciso di trasferirsi dallo Sri Lanka, poco dopo la sua nascita. Oggi ha 23 anni, vive a Milano, dove studia all’università, ma non è ancora cittadina italiana. “I miei genitori non hanno mai fatto richiesta, io mi sono mossa subito dopo aver compiuto 18 anni. A febbraio 2017 la mia domanda è stata accettata. Andavo continuamente sul portale dedicato e vedevo che la mia pratica stava andando avanti, in poco tempo sono passata dalla fase uno alla fase tre, con l’istrutturia completata - ha raccontato la ragazza -. Poi improvvisamente, l’iter è tornato indietro: il messaggio sul sito era uguale a quello che avevo visto due anni prima e diceva che si stavano facendo accertamenti”.
A complicare il percorso verso la cittadinanza di Erandika e degli altri ragazzi cresciuti qui da genitori stranieri è intervenuto il decreto Sicurezza voluto dall'allora ministro Salvini - che, oltre a rivedere le norme in materia di asilo e accoglienza, è intervenuto anche in tema di cittadinanza. Permettendo la revoca in caso di condanna in via definitiva per reati legati al terrorismo. E, come già spiegato, allungando i tempi, da due a quattro anni per la conclusione del procedimento, nelle richieste di cittadinanza per residenza o per matrimonio (non per i nati in Italia da genitori stranieri).
“Ora devo pagare un avvocato perché riesca a sollecitare, tramite pec, la prefettura e mandare avanti la pratica, ma è assurdo - ha spiegato Erandika -. Io sono praticamente nata qui, non mi sento un’immigrata, lo Sri Lanka non è il mio Paese, il mio paese è l’Italia. Torno nel paese dei miei genitori ogni due anni, è un posto bellissimo, ma io sono italiana. Anche se mi sento una straniera in patria, perché sono qui col permesso di soggiorno, perché non posso votare, né accedere ai concorsi pubblici. E non è giusto”. Anche i fratelli di Erandika, che hanno più di 30 anni sono in attesa di una risposta sull’istrutturia per diventare cittadini. “Abbiamo fatto tutto quello che ci è stato richiesto, anche se non è stato facile ottenere tutti i documenti dallo Sri Lanka - ha aggiunto nell'intervista al Redattore sociale -. Però ora basta, questa situazione deve cambiare, non possiamo aspettare così tanto, è anche una questione di identità”.
La lettera al ministro dell'Interno: serve riforma della legge sulla cittadinanza
Nel frattempo il movimento degli italiani senza cittadinanza ha inviato una lettera alla ministra dell'Interno, Luciana Lamorgese chiedendo la riforma della legge 91/1992 sulla cittadinanza, richiesta che sabato 3 ottobre verrà amplificata con la partecipazione a una manifestazione a Roma in piazza Santi Apostoli. Giovedì alle 12 al Senato vengono presentati i temi e le istanze al centro della manifestazione "Legge di cittadinanza, Articolo 3", promossa nella Capitale su iniziativa di una rete di associazioni e movimenti della società civile. Inizio alle 15.30 nel pieno rispetto delle disposizioni contro il Covid-19.
Gli organizzatori citano l'articolo 3 della Costituzione: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Gli attivisti ribadiscono che "chi vive in Italia, si è formato qui, appartiene al Paese, contribuisce al suo sviluppo e alla sua cultura ha diritto a una piena inclusione nella comunità politica. Per questo motivo scendiamo in piazza perché non vogliamo continuare ad avere una cittadinanza 'in locazione' vogliamo essere proprietari di un'appartenenza che non ci può essere negata". "Scendiamo in piazza per rompere il binomio immigrazione-sicurezza, per chiedere l'abrogazione dei decreti Sicurezza che hanno peggiorato la condizione degli ultimi, indipendentemente dalla loro provenienza. È una questione di civiltà, equità sociale e giustizia che accomuna tutti e tutte le generazioni".