Attualità

Il degrado. De Rita: «Roma orfana di una classe dirigente»

Angelo Picariello giovedì 18 giugno 2015
«L’immagine che meglio fotografa la situazione in cui si trova Roma è quella usata dal Papa, orfandad, che ha tradotto con 'orfanezza'. Roma è orfana di una classe dirigente», spiega Giuseppe De Rita. 'Mafia Capitale' come fenomeno terminale di una politica romana ammalata da almeno 40 anni. Il sociologo, fondatore del Censis, usa anche ricordi in chiave autobiografica per formulare un auspicio: «Puntare su chi ha motivazioni e spessore tali da poter segnare un cambiamento. Senza lasciarlo solo, sopraffatto dalle clientele. Come accadde 39 anni fa a Vittorio Bachelet, candidato al Comune di Roma». Che cosa la colpisce di quest’inchiesta? La tendenziale indifferenza. Come a dire: sono un gruppo di mascalzoni, la cosa non ci tocca. Non c’è stata reazione, nemmeno indignata. Sebbene gli indignados non è che mi convincano molto... Lei come spiega questo? È l’esito di una società che tende alla delega. Alla magistratura, al presidente del Consiglio. O a una legge. A ogni nuovo fenomeno ci si illude di poterlo debellare con una legge ad hoc (reati ambientali, omicidi stradali), sottovalutando gli aspetti culturali ed educativi su cui incidere. Si pensa di venire incontro a un sentimento diffuso, in realtà si rafforza solo un’idea di delega che deresponsabilizza. Ma, da sociologo, a suo avviso, a Roma si tratta di mafia o di corruzione? Personalmente mi sembra più corruzione che mafia, salvo alcune realtà, come Ostia, dove il fenomeno appare diverso. Ma il mio parere non vale nulla, se il procuratore della Repubblica parla di mafia io non mi sento di dissentire. Il prefetto o il commissario prefettizio ragioneranno sull’ipotesi che è sul tavolo, non potendosi aspettare i tempi biblici dei processi. Come andò per Bachelet, 40 anni fa? Conosco la vicenda perché ci ero dentro anch’io. Alle elezioni del 1976, sindaco Clelio Darida, la Dc decise di dare una risposta forte alla crisi in atto nei rapporti con il mondo cattolico offrendo il posto di numero 2 e numero 3 - con Andreotti capolista - a Bachelet e De Rita. Lei in politica? Andreotti mi fece telefonare più volte dal fido Evangelisti. Ma io non cedetti. Con questa motivazione: la posizione in lista, per come è fatta Roma, non ci garantiva dall’esser scavalcati da capi-corrente e capiclientele. Ad essere legittimato a fare il sindaco non sarebbe stato uno di noi. Bache-let, invece, di fonte alle insistenze, accettò. Ebbene, una persona del suo spessore finì 18esima. Oggi constatiamo un degrado ulteriore, ma a distanza di quasi 40 anni le cose non sono cambiate. Il Comune ha foraggiato le piccole clientele e le piccole clientele hanno occupato la politica. Un cane che si morde la coda. In una situazione del genere è difficile che un professionista affermato, un docente universitario, un personaggio della società civile possa accettare un coinvolgimento, se non c’è un imprinting politico. Fermo restando l’eroismo di Bachelet. Fu una scelta eroica, è vero, ma mancò l’investitura politica. Per cambiare le cose a Roma gli eroi non possono essere lasciati soli. E non servono neppure le primarie, se viziate dalla stessa impostazione. Pesa che queste cooperative siano nate nel solco di un volontariato generoso. Personaggi coraggiosi e profetici come don Di Liegro e suor Teresilla è comprensibile che abbiano dato una mano a chi, uscendo dalla galera, cercava una via di riscatto. Ma non basta il volontariato, a un certo punto. Accanto ai volontari part time, serve anche chi ne faccia un lavoro a tempo pieno, senza smarrire lo spirito iniziale. Quanto può aiutare l’insistenza di Francesco, da Vescovo di Roma, su questi temi, per invertire finalmente la rotta? Il discorso del Papa al Convegno ecclesiale diocesano indica la strada: i giovani hanno bisogno di vedere un padre. Cerchiamo, tutti insieme, di non essere orfani di un sindaco che non esiste, di un Campidoglio che non esiste o che sarebbe meglio non avere. Siamo tutti orfani di un governo della città che non c’è. La capacità del Papa consiste nel sapere arrivare alla radice dei problemi. Non bastano più parole come legalità, equità. Parole astratte se non si arriva a toccare il cuore. Non ce l’ho col sindaco, c’è da ricostruire un’intera classe dirigente. Tocca alla politica offrire un segnale di cambiamento.