Qualche bar ha già tirato su la saracinesca. In qualche spiazzo venditori ambulanti mostrano frutta e verdura, ma è troppo poco, e soprattutto è presto per dire che L’Aquila si sta riprendendo. Il lutto è ancora vivo, e forte è il dolore. Ci sono tutte quelle bare allineate nell’hangar della caserma dei finanzieri, ed è come se fossero una boa da girare, una cima da scalare. E sarà dura. Una volta consegnati i suoi figli all’eterno riposo, pur dalle tende o da una camera d’albergo di fronte all’Adriatico, dove molti hanno scelto l’esilio, si potrà pensare a domani. L’Aquila non sa guardare davanti a sé, se prima non acquieta la pena che l’ha ammutolita. Ed è ancora tanta. Il centro storico, dove è proibito entrare o solo avvicinarsi, è deserto e spettrale. Le forze dell’ordine schierate ad ogni incrocio impediscono l’accesso. È qui che si continua a scavare, e i ragazzi del VI reggimento Genio di Roma, che si affiancano ai Vigili del Fuoco, con loro ruspe cercano tra le macerie, e mano mano che le ore passano e diminuiscono le speranze, tornano a fine turno in caserma con la delusione di aver recuperato dal cumulo di macerie soltanto cadaveri. Quando non c’è da scavare, le ruspe mandano giù i muri più pericolosi. Allontanandosi dal centro, uscendo dalla città in direzione di Rieti, ci sono quartieri appena toccati dal sisma. Molte case appaiono intatte, e ci si imbatte in qualche coraggioso che è tornato ad abitare in uno di quegli edifici bassi della periferia che sembrano cascine. Ma vive sull’uscio, pronto a scappare al primo tremore della terra. Sono temerari che comunque non fanno primavera. In città sono però già iniziate le verifiche per appurare la stabilità degli edifici. Hanno cominciato a farlo circa cento tecnici della Regione, e da stamattina se ne aggiungeranno altri mille. I più si sono trasferiti nelle tende issate in vari punti della città. Altri, con irriducibile caparbietà, non hanno abbandonato la loro frazione dove le case, a parte qualche palazzo che li circonda, hanno anche una corte e pare di stare in campagna. Sta succedendo intorno ad alcune parrocchie. A Cansatessa, ad esempio, dove in un capanno di pochi mattoni da sempre sorge l’oratorio. Tutto intorno le abitazioni di quattro piani delle cooperative di carabinieri, finanzieri e poliziotti. I palazzi portano i segni evidenti del terremoto. Vedi in giro, nei viali che si stanno colorando con i fiori della primavera, giovanotti con la pistola nella cintura, così grande che la maglietta a stento riesce a coprirla. Sono militari che proteggono la loro abitazione abbandonata in tutta fretta. Nella città scarseggia la benzina. Molti rivenditori hanno messo cartelli bene in evidenza. Ma l’auto è necessaria per procurarsi cose che ancora non sono state assicurate nelle tende. C’è bisogno di tutti quei piccoli oggetti quotidiani, dal sapone al dentifricio, dagli asciugamani ai vestiti, specie maglioni pesanti per proteggersi la notte. All’Aquila non c’è nulla. I negozi sono chiusi. Le crepe vistose fanno capire che è inutile anche chiedere. Adesso che ha riaperto l’autostrada, molti vanno verso Avezzano. All’uscita di Valle del Salto, quasi al casello, c’è un supermercato, e chi può va lì a comprare il necessario. Le commesse hanno avuto disposizione di praticare il 10% di sconto ai terremotati. Li riconoscono dallo sguardo impaurito e dall’atteggiamento dimesso, battono lo scontrino, e dicono: «Il Signore vi dia la forza». Il terremoto ha ferito e trasformato la città. Ne ha stravolto la geografia. L’abitato e il circondario non sono più divisi in quartieri, ma in Com (Comitati operativi misti) che fanno capo alla Protezione Civile. Il primo è quello dell’Aquila. Com vuol dire, più sbrigativamente, tendopoli. Ce ne sono 5 nella città: a Piazza d’Armi, ad Acqua Santa, nell’area dell’ex Italtel, nella frazione Monticchio, nell’area di parcheggio del Gs e a Collemaggio. La sofferenza è ospitata sotto 2.962 tende issate su con prontezza straordinaria. Accolgono già, in tutta l’area del sisma, 17.700 persone. Altri diecimila, invece, hanno preferito accettare l’offerta del governo e trasferirsi negli alberghi della costa. L’Aquila si è popolata di nuovi abitanti: l’esercito dei soccorritori. Per la città, specie nelle zone che lambiscono il centro storico, si vedono in giro soltanto divise, delle forze dell’ordine, dei volontari della Protezione civile, dell’esercito e dei Vigili del Fuoco. Oltre cinquecento interventi al giorno per verificare la stabilità di un edificio, per recuperare beni che le persone hanno lasciato nelle loro case, e soprattutto per cercare gente, sperando che siano ancora in vita.