La corsa al Colle. Cicchitto: Draghi resti premier o l'Italia rischia il disastro
Fabrizio Cicchitto
Con Gerardo Bianco e Fabrizio Cicchitto Avvenire propone una serie di interviste in vista dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica. La scadenza del settennato di Sergio Mattarella cade - a inizio febbraio - in un momento del tutto eccezionale, nel pieno, ancora, della pandemia, con una serie di impegni da onorare con l'Europa nel piano di investimenti e riforme in fase di definizione, a loro volta senza precedenti. A completare un quadro inedito e irto di incognite è l'avvicinarsi della fine della legislatura, con l'entrata in vigore della legge che ha ridotto a 600 il numero dei parlamentari e comporterà un altro delicato passaggio istituzionale. Un quadro che ha indotto alcuni a ipotizzare un "bis", magari a tempo (una sorta di "prorogatio"), per l'attuale inquilino del Colle, che però ha più volte confermato e motivato la sua netta contrarietà. Stiamo sentendo quindi il parere di alcuni protagonisti di grande esperienza della scena pubblica e istituzionale diversi per cultura e ispirazione, ma portatori di una preziosa memoria storica che può aiutarci a capire qual è la posta in palio e quali sono gli strumenti per superare in modo positivo questo snodo cruciale della nostra storia nazionale. (A.Pic.)
«Teniamo fuori Draghi dai giochi del Quirinale, rischiamo di bruciarlo e di finire a elezioni anticipate, al buio. Un’avventura che il Paese non può permettersi in un momento come questo». Fabrizio Cicchitto si gode i suoi 81 anni scrivendo libri di politica. Protagonista per un quarto di secolo della Seconda Repubblica, ma nostalgico della Prima, è stato un dirigente di Forza Italia della prima ora in nome soprattutto dell’anti-giustizialismo di Mani Pulite. È stato anche capogruppo alla Camera del Popolo delle Libertà, vivendo poi una breve stagione con Alternativa Popolare. Lontano dal Parlamento da tre anni, si sta dedicando ad approfondire, nei suoi prossimi lavori, i riflessi economici della pandemia e la storia del Partito Socialista, il suo primo amore, mai rinnegato. Ricorda la battaglia solitaria di Giacomo Matteotti contro il fascismo, sottovalutato all’inizio, come è accaduto per molte dittature. «Alla Costituente gli elettori non si erano dimenticati dei socialisti, che presero più voti dei comunisti. Ma poi furono scavalcati dal vero partito- azienda, il Pci, che poteva contare sul duplice finanziamento del blocco sovietico e delle cooperative rosse, e furono trascinati nel frontismo». Tangentopoli spazzò via tutto e nacque il partito- azienda di Berlusconi. L’ultimo voto di Cicchitto è andato a Carlo Calenda. «Ci sarebbe spazio per una grande iniziativa di centro, ma qui vedo tanti 'centrini' e tanti piccoli Napoleone. Il personalismo è un virus contro il quale non è stato ancora trovato un vaccino».
E in questo difficilissimo passaggio istituzionale nessuno sembra avere il pallino in mano.
È il più complicato nella storia repubblicana, più tragico persino del secondo dopoguerra, perché lì almeno c’era un pluralismo di partiti su cui poter contare. Oggi c’è una totale indigenza. Il Pd è un partito di carta velina, non si capisce che cos’è: mezzo garantista e mezzo giustizialista, né massima-lista, né riformista. Larga parte del centrodestra è in balia di un avventurismo allo stato puro: Fratelli d’Italia si ricollega alla tradizione più antica della destra italiana, certo c’è stata una revisione sul fascismo, ma poi vediamo anche segnali non certo rassicuranti. Mentre il M5s è ancora alla ricerca di una sua identità.
E quindi?
Siamo costretti ad aggrapparci a un grande tecnico che è anche un gran politico.
Sta dicendo che Draghi che deve rimanere dov’è, o questo ruolo decisivo può meglio svolgerlo da presidente della Repubblica? Il nodo è questo...
Fra due anni sarebbe il candidato ideale per il Quirinale, ma ora ora è necessario che porti la sua missione fino al 2023.
E il nodo Quirinale come si risolve?
È chiaro che un Paese aggrappato a una sola persona è in una condizione drammatica. Al Quirinale l’ideale sarebbe la riconferma di Sergio Mattarella per due anni. Ma temo di star parlando di una cosa che non si verificherà, e allora bisogna trovare un’altra soluzione, se non ci vogliamo cacciare in una brutta avventura, andando incontro a problemi seri per il nostro Paese.
Giorgetti ha parlato di semipresidenzialismo di fatto, con Draghi al comando dal Quirinale.
Se si voleva praticare di fatto questa strada, non andava detto. Teorizzarlo è stato un errore.
Per Palazzo Chigi, a garantire la continuità si fanno anche i nomi di Franco e Cartabia...
Nel clima di rissosità dell’attuale maggioranza verrebbero stritolati nel giro di due settimane. Non vedo altra via: Draghi prosegua fino al 2023.
Ma Mattarella ha chiuso ogni discussione sul 'bis'. Come se ne esce?
Bisognerà allora cercare una persona che rechi meno danni possibili un po’ a tutti. Una figura da cui né il centrodestra né il centrosinistra hanno motivo di sentirsi colpiti.
Un socialista, Giuliano Amato?
È una di quelle tre o quattro persone che per storia personale ed esperienza istituzionale hanno queste caratteristiche.
Un’altra è Pier Ferdinando Casini?
Anche lui.
E una donna?
La soluzione va trovata a prescindere dal sesso, ma guardando al profilo della persona.
E dell’ipotesi Berlusconi che cosa pensa?
Premesso che si tratta dell’imprevedibilità fatta persona, in tempi normali avrei detto che non ha chance. Ma questi non sono tempi normali, e allora tutto può avvenire. Se tutte le forze politiche, come dicevo, si accordano su un nome allora c’è la soluzione dalle prime votazioni, aggirando anche il problema dei franchi tiratori con un accordo ampio. Altrimenti si aprirebbe una riffa in cui può accadere di tutto, e anche Berlusconi avrebbe delle possibilità.
Per molti la soluzione condivisa sarebbe solo Draghi, anche Meloni sarebbe disponibile.
Quello di Meloni, per Draghi, è il bacio della morte. Lo voterebbe solo per poter poi andare al voto anticipato, ma questo alimenta senza limiti i potenziali franchi tiratori, proprio per allontanare la eventualità delle elezioni. Rischieremmo così la situazione più disastrosa di tutte.
Che cosa potrebbe accadere?
Se un accordo su Draghi al Quirinale dovesse fallire alla prova del voto segreto, salterebbe anche il governo. Draghi resterebbe fuori su entrambi i fronti e andremmo al voto in una situazione davvero disastrosa. Uno scenario da evitare in tutti i modi, mantenendo Draghi a Palazzo Chigi, a proseguire un’impresa da cui dipende la salvezza dell’Italia, per poi trovare un nome accettabile da tutti per il Quirinale, se Mattarella - che rappresenterebbe la soluzione ideale - dovesse restare fermo sulla sua decisione.