Ha cercato di spillare soldi a un sacerdote approfittando della sua buona fede e della sua propensione ad aiutare le persone in difficoltà. Condannato lo scorso febbraio dalla Corte d’Appello di Trieste a quattro anni di reclusione e a 800 euro di multa, Raffaele C., ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione contestando che al suo delitto fossero state riconosciute le aggravanti perché commesso ai danni di un prete. Un parroco che non gli ha lesinato la propria carità, che nel senso originale del termine – il latino
caritas – contempla la benevolenza e l’affetto. La Cassazione ha detto no. Giusto così. Giusto applicare le aggravanti. Perché esiste – hanno spiegato i giudici – l’esigenza di «una tutela rafforzata», a favore di alcuni soggetti come, appunto, un ministro di culto o un pubblico ufficiale proprio in «ragione del ruolo peculiare svolto». E cosa è più peculiare per un sacerdote se non esercitare una delle virtù teologali, la carità appunto?Le circostanze aggravanti vanno riconosciute quando la «condotta illecita» è diretta contro il soggetto «con l’intenzione di vulnerarne il fisico ovvero l’integrità morale»: l’offesa, deve «avere una peculiare coloritura, dovendo essere diretta proprio a svilire, anche circuendoli, i valori della funzione professata dalla vittima».La sentenza è la numero 3339, depositata ieri, e tra le pagine si legge che se è vero che «aggrava il reato l’aver commesso in fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di pubblico servizio o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato» a maggior ragione esiste una tutela rafforzata nel caso in questione. Le «opere di carità», è scritto nella sentenza, «rappresentano un servizio tipico del ministero cattolico – basti pensare alla destinazione delle elemosine o delle somme espressamente destinate dagli oblanti ai poveri della parrocchia – sicché modeste elargizioni a persone bisognose o a indigenti costituiscono di fatto una costante dell’attività dei parroci». Proprio perché i parroci, in altre parole, usano fare elemosina, sfruttare questo aspetto del loro lavoro – come ha fatto l’imputato – per cercare di truffarli, dice la Cassazione, è ancora più grave.