Salvataggi in mare. Le norme: chi non interviene è complice di naufragio
Operazioni di recupero dei migranti davanti alla coste della Libia nell'ambito della missione europea EuNavFor Med e quella italiana Mare Sicuro, il 17 marzo 2016 (Ansa)
Chiunque sia in grado di intervenire ha l’obbligo giuridico di farlo e in caso contrario si configurerebbe come omissione di soccorso (secondo gli articoli 1113 e 1158 del codice della navigazione). In caso di incidente in mare, chi si sottrae al soccorso, deve rispondere del reato di naufragio e omicidio colposi. È, questo, in sintesi, il dettato normativo a cui si deve attenere chiunque vada per mare e incroci persone in difficoltà: siano essi migranti, diportisti, croceristi o equipaggi.
Come spiega con chiarezza la Guardia costiera: «I servizi di ricerca e soccorso fanno affidamento su qualsiasi nave per qualsiasi ragione presente nell’area interessata (navi governative, incluse quelle militari, quelle mercantili, ivi compresi i pescherecci, il naviglio da diporto e le navi adibite a servizi speciali – quali sono ad esempio quelle utilizzate da alcune ong per le loro finalità Sar). In altre parole, su ogni nave che possa utilmente intervenire per il salvataggio delle vite umane in mare».
L’acronimo 'Sar' corrisponde all’inglese “search and rescue” ovvero “ricerca e soccorso” (ma anche “ricerca e salvataggio”). Con questa sigla si indicano tutte le operazioni che hanno come obiettivo quello di salvare persone in difficoltà in vari ambienti (montagna, mare, dopo un terremoto o altre catastrofi) effettuate con mezzi navali o aerei. Le operazioni 'Sar' sono coordinate dal Maritime rescue coordination centre (Mrcc), presso il Comando generale della Guardia costiera con base a Roma.
Tutte le operazioni di soccorso si svolgono su aree di responsabilità Sar (e non solo su quelle territoriali). Libia e Tunisia, malgrado abbiano ratificato la convenzione Sar del 1979, non hanno dichiarato quale sia la loro specifica area di responsabilità, perciò l’area del Mar Libico a sud di quella maltese e confinante con le acque territoriali della Libia non è posta sotto la responsabilità di alcuno Stato. Le persone salvate, secondo il diritto internazionale, devono essere poi condotte in un «luogo sicuro». I criteri per individuarlo, stabiliti dalle norme internazionali, sono tre e non sono alternativi l’uno all’altro ma devono ricorrere tutti contemporaneamente. Primo: non sono considerati “sicuri” i porti di Paesi dove vige la pena di morte o dove anche un solo migrante possa essere perseguito per ragioni politiche, etniche o di religione (di fatto escludendo Paesi come Libia, Egitto, Tunisia e Algeria). Secondo: le necessità primarie (cibo, alloggio e cure mediche) devono essere garantite. Terzo: sono 'sicuri' quei porti dove può essere organizzato il trasporto dei naufraghi verso una destinazione finale.