La «tristezza» per una scelta «in dissonanza » con la storia e la cristianità della città, non mette in secondo piano una certezza: «L’Aquila non può pensare di risorgere senza ritrovare la forza e la luce nella sua anima cristiana, culturale e sociale». A qualche giorno dal Consiglio comunale in cui è passata la mozione di non riappendere il crocifisso nell’Aula consiliare, l’arcivescovo dell’Aquila monsignor Giuseppe Petrocchi riflette sull’accaduto e, soprattutto, sulle questioni urgenti per la rinascita del capoluogo abruzzese dopo il terremoto del 2009.
Come giudica la decisione del Consiglio comunale? È una scelta che suscita nel mio cuore, e penso nel cuore di tantissimi aquilani, una grande tristezza, perché il crocifisso ha molto da dire a L’Aquila e la città ha molto da dire al crocifisso. Non a caso nell’omelia d’ingresso in diocesi ho detto: 'L’Aquila, città crocifissa, risorgi ogni giorno con il tuo Signore!'. Il simbolo del crocifisso, infatti, non è espressione di una confessionalità che esclude, perché proprio con le sue braccia spalancate è da sempre il segno dell’amore che accoglie tutti, al di là di tutto e nonostante tutto. L’Aquila è una città cristiana, e ogni suo angolo annuncia la fede della gente che la abita. Qui, oltre ad avere una valenza culturale e a essere il segno di un’identità storica, il crocifisso è indicatore di una via da percorrere: difatti proprio perché gravemente ferita dal terremoto, la città non può non riconoscere nel crocifisso Colui che apre la strada verso la Risurrezione.
Quale è dunque l’itinerario più giusto per la vera rinascita del territorio?La ricostruzione non si esaurisce nella riedificazione dei suoi monumenti e delle sue case, è invece evento spirituale e culturale, altrimenti diventa solo una impresa tecnica, che non garantisce affatto che la città torni ad essere quella che era, e neppure consente che diventi quella che nel piano di Dio è chiamata ad essere. Se insomma si ricostruiscono i luoghi, ma le persone dentro sono cambiate in senso negativo, anche il ripristino delle aree di socialità serve a poco. A me sembra che questo territorio, proprio per ritrovare le strade di una vita nuova, deve mettersi alla scuola di Gesù, crocifisso e risorto. Infatti, è nel crocifisso che si può trovare la risposta ai 'perché' che si accendono in certi drammi. Ritornare, così, alle proprie radici cristiane significa anche imboccare la strada che conduce ad una promozione umana integrale, perché tutto ciò che corrisponde al Vangelo favorisce anche l’autentica crescita dell’uomo. Basta pensare alla dissonanza della scelta di rimuovere il crocifisso con la tradizione – tutta aquilana – della Perdonanza, avviata con grande spirito profetico da Celestino V, che non è solo un momento celebrativo, ma è riattuazione di un evento di grazia nel quale la città si riconosce interamente, nella sua componente religiosa e in quella civica.
Nella società civile, però, qualcuno giustifica la rimozione del crocifisso come garanzia di laicità dello Stato. L’Aquila è la città dove il tema della misericordia trova una fonte ispiratrice proprio nella celebrazione della Perdonanza che ha una valenza non solo locale, ma aperta su tutta la Chiesa e sull’intera umanità. Dunque la laicità non è messa in discussione dal crocifisso, perché è generata da esso, che è simbolo di universalità e di Amore sconfinato. La Chiesa quindi non ha timore della laicità correttamente intesa, perché è nella Chiesa che il concetto di laicità è stato definito e promosso; non si tratta di salvare perciò la laicità escludendo il crocifisso: questa è una lettura fortemente ideologica e oscurante rispetto al dato storico e culturale.
Cosa si augura adesso? Nell’acqua torbida nessuno vede bene. Spero quindi che nel tempo, quando le turbolenze si saranno rasserenate, si possa ripensare la questione, rielaborandola in un clima di verità, e di pieno rispetto, non solo religioso ma anche sociale. Non dimentichiamo che lo stesso dialogo, che trova nel Vangelo la sua spinta fondamentale, poggia sulla leale dichiarazione delle reciproche identità, da mettere in relazione con lealtà e amore. Come cristiani, proprio nel momento in cui siamo chiamati ad accogliere nelle nostre terre persone provenienti da Paesi diversi e di altre fedi religiose, è necessario, per creare una corretta integrazione, mettere a disposizione gli uni degli altri le rispettive ricchezze spirituali, culturali e sociali, che diventano così non fonte di conflittualità ma luoghi di incontro e collaborazione.